lunedì 27 luglio 2009

Uno scempio annunciato


Il racconto dei soccorritori e di chi, nel fuoco, ha perso quasi tutto.
Focolai quasi completamente domati, ma i Canadair continuano a volare.
L'inferno nel Sassarese
"Scene di autentico terrore"


POZZOMAGGIORE (SASSARI) - Un inferno. Un inferno di fuoco e fiamme, alte fino a dieci metri che, alimentate dal vento di scirocco, in poche ore hanno distrutto migliaia di ettari di vegetazione. Auto bruciate, aziende agricole in fumo, capi di bestiame carbonizzati. Milioni di euro di danni - 80 complessivamente nell'isola, secondo una prima stima fornita dal governatore Ugo Cappellacci - un'economia basata sulla pastorizia in ginocchio.

Nelle campagne del Sassarese il day after è un coro all'unisono di disperazione. Soccorritori sfiancati dalla fatica e dal caldo - anche oggi temperature sopra i 40 gradi -, pianti di dolore di contadini e pastori, che hanno perso tutto. "Mai visto un inferno così!", esclama un allevatore nelle campagne tra Pozzomaggiore e Semestene, dove ieri il fuoco ha causato una delle due vittime.

L'arrivo in auto dalla Statale 131, la principale arteria che collega il sud con il nord della Sardegna, è una visione desolante: un'enorme distesa di cenere, migliaia di ettari svaniti, dappertutto un'irrespirabile odore di bruciato. Le sirene dei mezzi dei Vigili del Fuoco e del Corpo Forestale e il rumore dei Canadair che sorvolano la zona, fanno da cornice ad un quadro definito "apocalittico" dal sindaco di Pozzomaggiore, Tonino Pischedda, con il 75% del territorio comunale interessato dalle fiamme. "Abbiamo vissuto scene di autentico terrore - ricorda il primo cittadino -, assistendo impotenti alla morte di uomini, un nostro compaesano, e di tanti capi di bestiame. I danni? Dire ingenti è poco. L'intera economia del paese - denuncia il sindaco - rischia di andare a rotoli. Ora non ci resta che confidare nei primi interventi immediati annunciati dalla Regione".

"Abbiamo perso tutto - confessa un allevatore del posto -, diverse aziende agricole sono state bruciate e con loro le scorte di fieno e mangime per il bestiame". "Oggi la situazione sembrava migliorata - aggiunge il sindaco - ma nel pomeriggio si sono sviluppati nuovi focolai. Siamo tutti coinvolti in prima linea, e l'allerta resta massima". E difatti i Canadair non smettono di volare e gettare tonnellate d'acqua sul fronte del fuoco, che nel pomeriggio ha interessato anche il Cagliaritano e l'Oristanese.

La maggior parte dei roghi erano stati spenti in mattinata grazie all'incessante lavoro dell'imponente apparato antincendio messo in campo da Protezione civile, Corpo forestale regionale e Vigili del fuoco, oltre a centinaia di volontari del posto.

Molti si sono sentiti male per il caldo, le bottigliette d'acqua messe a disposizione dalla Protezione Civile non si contano, tra quelle bevute e quelle gettate in testa dai soccorritori per combattere l'afa. C'è poca voglia di parlare, di descrivere la fatica ma anche il coraggio e il grande senso di responsabilità di chi quotidianamente rischia la vita nella lotta al fuoco.

Il viaggio prosegue. Sulla 131 il traffico è regolare, anche se, proprio nel sassarese, si notano due focolai che lambiscono la strada. Colonne di fumo attraversano la carreggiata, gli automobilisti prima rallentano poi fuggono via veloci, ma entrambi i roghi sono sotto controllo. In lontananza però si scorge altro fumo: sono gli incendi nelle campagne di Ploaghe e Codrongianus, dove le fiamme hanno lambito le case. Ancora momenti di panico tra le gente, l'emergenza continua. E domani è atteso il maestrale, il peggior nemico nella lotta al fuoco.
(24 luglio 2009)
da Repubblica.it sez.Cronaca

E' solo uno stralcio delle notizie riportate nell'articolo.
L'emergenza incendi è una triste realtà che si ripropone ai nostri occhi e alle nostre coscienze ogni anno, ogni estate, soprattutto se particolarmente calda.
Il caldo manda in tilt le coscienze? Stimola nell'uomo gli istinti distruttivi che l'inverno consegna al letargo?
Ogni tanto si scopre che gli incendi sono di origine "dolosa", più spesso si parla di "piromani", gente fuori di testa...ma quanti sono i piromani in Italia visto che ampie zone del nostro paese sono in fiamme?
Io propendo per l'origine dolosa, favorita dal caldo e dal vento che danno alla distruzione dell'ambiente un valido aiuto. Anche l'incuria e lo scarso rispetto hanno il loro peso, ma per lo più l'impatto distruttivo è meno devastante...
Vale la pena ricordare che le norme vigenti prevedono il divieto di edificazione per almeno dieci anni su zone boschive desertificate con dolo, vedi Gazzetta Ufficiale n°52 del 3 marzo 2006, cfr.www.dirittoall'ambiente.com

Scrivo questo post con l'animo stretto in una morsa di dolore, con rabbia...con domande che non trovano risposte.
Esprimo la mia solidarietà e vicinanza agli abitanti della Sardegna, della Calabria, della Puglia, della Sicilia...tutte terre bellissime che ho nel cuore.

venerdì 24 luglio 2009

A Paolina Messina


A Paolina Messina

Soffoca il cuore
la nebbia del dolore
lo strazio dell’addio.

T’avvolge,
ora,
creatura integra
la Luce
di cui splendevi
per innata
Fede.

Come moneta
di fresco conio
tra sassi e polvere
hai serbato
veste e memoria
di passi
e vento
che invano celano
le scene
di un vivere nascosto
e più prezioso.

Resta di te l’essenza,
la più vera:
la voce che grida
che sussurra
un traguardo invocato
di Pace infinita.
e.b.

mercoledì 22 luglio 2009

Ode al limone di Neruda



Ode al limone

di Pablo Neruda, Odi elementari (Tercer libro de las odas, 1955-1957)


Da quei fiori

sciolti

dalla luce della luna,

da quell’odore d’amore

esasperato,

immerso nella fragranza,

sorse

dall’albero del limone il giallo,

dal suo planetario

discesero i limoni sulla terra.

Tenera merce!

Si riempirono le costiere, i mercati,

di luce, di oro

silvestre,

e aprimmo

due metà

di miracolo,

acido congelato

che scorreva

dagli emisferi

di una stella,

e il liquore più intenso

della natura,

intrasferibile, vivo,

irriducibile,

nacque dalla freschezza

del limone,

della sua casa fragrante,

dalla sua acida, segreta simmetria.

Nel limone i coltelli

han tagliato

una piccola

cattedrale

l’abside nascosto

aprì alla luce le acide vetrate

e in gocce

scivolarono i topazi,

gli altari,

la fresca architettura.

Così, quando la tua mano

impugna l’emisfero

del tagliato

limone sul tuo piatto,

un universo d’oro

spargi,

una coppa gialla

con miracoli,

uno dei capezzoli profumati

del petto della terra,

il raggio della luce ch’è diventato frutta,

il fuoco minuto di un pianeta.

Questa ode è dedicata a Jolanda, che a Prèvert preferisce Neruda!

domenica 19 luglio 2009

Jacques Prèvert


L'immagine è tratta dal sito:http//mchampetier.com

Bibliografia

Jacques Prévert nasce a Neuilly-sur Seine nel 1900. Ha un’infanzia felice ed è di natura gioiosa. Fin dalla sua più tenera età la madre gli fa scoprire il mondo dell’immaginario e del sogno. La sua famiglia si stabilisce a Parigi nel 1907. Il padre tenta di mostrargli il mondo come è nella realtà, miseria e ricchezza. Il bambino è impressionato da ciò che vede, ma porta con se la gioia di sognare, leggere, guardare un bel film muto o uno spettacolo teatrale. Suo fratello minore, Pierre, diventerà regista e Jacques scriverà le scenografie ed i dialoghi per il cinema. Jacques prende presto coscienza del mondo intorno a lui, ed il suo sguardo, velato di tristezza, lo accompagnerà in fondo sempre. Prévert adora marinare la scuola, la detesta, e smetterà di andarci del tutto nel 1914. La sua scuola è la strada. Nel ’15 suo fratello Jean muore a 17 anni di una febbre tifoidea. La morte del fratello e la guerra, che egli detesta, gli lasceranno dei segni indelebili. Dopo il servizio militare, il suo amore per la letteratura non fa che aumentare; conosce degli autori, scopre con interesse “La Rivoluzione Surrealista” (1924), incontra i surrealisti stessi. Nel 1928 redige con suo fratello Pierre la scenografia di un reportage su Parigi (Souvenirs de Paris) che non riscuote nessun successo. Dopo aver scritto una critica su André Breton, “Mort d’un Monsieur” ( Morte di un Signore), Prévert si separa dal movimento surrealista. L’anno 1931 vede finalmente nascere il vero Prévert scrittore che conosciamo. Scrive dei testi per il gruppo che sta per nascere “Octobre”. Joseph Kosma canta le sue più famose poesie. Scoppieranno diversi scandali, perché Prévert ironizza sui borghesi, i preti ed i militari. Scrive scenografie e dialoghi per numerosi film (“Droles de drames”, “Les visiteurs du soir”, “Les enfants du paradis”, “Remorque”, etc…), scrive dei testi nelle riviste. Prévert realizza il suo primo collage nel ’37. Pubblicherà libri per l’infanzia, dopo arriva il gran successo, esce “Paroles” nel ’46. Seguiranno fra altre raccolte “La pluie et le beau temps” nel ’55, “ Fatras” nel ’66, opere che gli tributano indubbiamente un riconoscimento poetico….eterno. Nel ’62 con André Villers e Pablo Picasso, suo amico, Jacques Prévert pubblica due opere di fotografie, pitture e collage. Narratore, poeta, drammaturgo, panflettista, scenarista, scrittore, artista, Jacques Prévert si spegne a Omonville-la-Petite ( Manica) nel 1977.

Poesia tratta da Fatras

La festa segreta

In mezzo all'impossibile quadrivio
dell'immobilità
una folla di oggetti - inerti
non la smette di muoversi, fremere, danzare
E i suscitatori del vento
come quelli delle maree
mettono lo scompiglio nella posta
Ogni cosa senza dubbio è destinata a qualcuno
o può darsi a qualcosa
La piuma dell'uccello
o l'involucro dell'ostrica
la croce fatta per la legion d'onore
o la stella marina
o la zampa di granchio
l'ancora della nave
la rana in ferro verde
e la pupa di farina
E dentro questo paesaggio in cui nulla sembra muoversi
eccezion fatta per la bugia del naufragante dentro la sua
lanterna arruginita
si svolge la festa segreta
la festa degli oggetti.

dall'Introduzione a Fatras di Luigi Tundo:
"Per quanto strano possa sembrare, la poesia di Prèvert si propone,in molteplici forme, come una, possibile, forma di lotta. Perfino il tenero, il tremendamente tenero delle sue poesie,va letto in quanto denuncia della violenza subita dagli umili, dagli indifesi o, più in generale, da tutto quel mondo animale che popola Fatras. E, nello stesso tempo, l'amore, l'amicizia, la tenerezza, sono i territori di riscatto(ed anche, se si vuole d'isolamento)dalla furia implacabile e implacata del Potere".

sabato 18 luglio 2009

Il musico impertinente


PAOLO DI MODICA
Una vita dedicata alla musica e poi, all’improvviso, una diagnosi che suona come una condanna: sclerosi laterale amiotrofica. Il racconto appassionato di un "musicista impertinente", che non vuole arrendersi alla malattia e alla deriva del paese in cui vive: “Il ‘pregio’ del mio progressivo immobilismo è di aver risvegliato, ancora di più, la mia coscienza”.

Non ho parole. Solo l'invito a prendere nota del sito di una persona
coraggiosa cui va la mia stima e il mio affetto.
http://dimodica-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/

giovedì 16 luglio 2009

Il gelato che viene dalla Cina


A me il gelato non piace...Ne parlo perchè le notizie "curiose" mi attirano e mi fanno pensare. D'altronde il caldo asfissiante ha su di me l'identico effetto del freddo: mi rende apatica, quasi istupidita...
Dedico questa notizia agli amanti del gelato, al momento riesco a visualizzare solo immagini di fresche ombre montane.

Come tante altre cose, anche il gelato arriva dalla Cina. Un viaggio che coinvolge Marco Polo: dall’Oriente fino al nostro congelatore.
FOCUS
di María Montes Vicente - Berlín
Traduzione: Francesca Podda

"Anche se il merito se lo prendono gli italiani, fu in Cina che si scoprì che la neve poteva avere anche un altro impiego oltre alla conservazione dei cibi. Una palla di neve con una spruzzatina di limone fu il primo sorbetto. Il gelato iniziò la sua storia come alimento composto da semplice frutta e ghiaccio, come piaceva ad Alessandro Magno o a Nerone, e si è trasformato in una pozzo di idee per i cuochi dell’alta cucina.

Colui che diede inizio al viaggio del gelato fu Marco Polo, che lo fece arrivare in Europa: da qui nasce la parola spagnola “polo” a indicare il ghiacciolo. Per lungo tempo furono i sovrani iberici gli unici privilegiati a gustarselo, diffondendolo poi in Francia, Italia e Inghilterra. In ogni Paese la ricetta variava: i francesi introdussero l’uovo, nella corte inglese iniziarono a sperimentare il latte (ma sempre per mano di un cuoco francese) e gli italiani lo resero popolare. Gli americani arrivarono tardi ma ottennero grandi risultati. Nel 1846, Nancy Johnson inventò la prima macchina automatica per il gelato. Fu l’inizio dei gelati industriali.
La vaniglia e il cioccolato continuano a essere i sapori classici dell’estate, ma bisogna vedere chi resiste dal provare il sorbetto di cactus o il gelato al gorgonzola. E c’è persino alla birra! L’innovazione continua…"

L'articolo è tratto dal sito:www.cafebabelcom/ita

martedì 14 luglio 2009

sabato 11 luglio 2009

Ossessioni di e.b.


Ossessioni

Un fischio sottile, persistente, nella notte, o è quasi l'alba?
Si mettono in fila, con passo spedito spuntano da ogni dove, vanno a ingrossare il mucchio che cammina, sembrano minatori diretti alla miniera oppure gli operai di una fabbrica...lavoratori della notte provvisti del loro zainetto di provviste.
Poi si separano, in silenzio, formano file più sottili e più lunghe che si disperdono in mille direzioni, e camminano, sanno dove andare!
L'alba è ancora lontana. E' notte dunque.

Infine ognuno è al suo posto, come in una catena di montaggio.
Si stendono accanto a chi dorme, con piccoli movimenti insistenti rendono palese la loro presenza, finchè non diventa evidente...è il loro lavoro, dopotutto.
Mica hanno tempo da perdere!

Il marito geloso riemerge dal suo sonno agitato. Guarda la moglie che dorme con un sorriso sulle labbra e si sente derubato...se le potesse cancellare quel sorriso che lo colpisce come un pugno! Se almeno piangesse nel sonno...sarebbe meglio!
Tutto sarebbe meglio della certezza che ha, che lo tormenta, che gli impedisce di respirare...che gli spalanca gli occhi nel mezzo della notte!

L'infermiera ha chiuso gli occhi per un attimo (quanto?), li apre e questi vanno a cercare il monitor: non lampeggia...grazie a Dio! Poi si rende conto che è presto, potrebbe ancora dormire (per quanto?) tanto vale alzarsi, non si sa mai...

Il marito infedele ha gli occhi spalancati, nel buio grida senza voce:
-Domani glielo dico! Domani glielo dico! E' finita.
Amo un'altra, questa è la verità! Sono un vigliacco...un verme!
Ma questa mi è entrata nel sangue...devo parlare.Come?...Quando?

Il vecchio avaro si dimena nel suo sonno bagnato.
- I miei soldi! Vogliono fregarmi...tutti d'accordo! Gli avvocati...buoni quelli! Sanguisughe, ecco cosa sono! Ma io, non sanno con chi hanno a che fare...

La casalinga si sveglia di botto, sorpresa.
-Che sogno! Bello, ma strano...correvo, correvo, e la gente mi guardava perchè io ero in alto...libera! Col cavolo!
Se non mi do da fare qui si ferma tutto! Possibile che non mi riesce di fare un sonno come si deve? Domani ne prendo due di pasticche!

L'attore si alza, è l'ultima volta, giura!
Deve ripassare quel pezzetto...deve essere sicuro...l'intonazione? L'espressione? Sono giuste. Ma l'ironia...come si rende l'ironia? Nel cuore della notte...poi!

Lei scrive, di soppiatto,ruba il tempo di ore impossibili.
-Presto, devo alzarmi! Devo scrivere, prima che i pensieri prendano a correre...a disperdersi, allargarsi, come l'olio versato per sbaglio...
Devo chiuderli in un recinto o forse formare una catena, sì la catena, li aggancio uno all'altro, poi mi basterà tirare, per averli tutti!
...e quello che pende? Rischia di cadere nel vuoto...Andato!
-Stupida! Stupida!
-Dovevo catturarlo per primo! Sempre così!
Ora quello si acquatta...torna quando gli pare...mi scava, mi tormenta...quello diventa un'OSSESSIONE!

mercoledì 8 luglio 2009

Ode al peschereccio di Neruda



ODE AL PESCHERECCIO
All’improvviso nella notte pura
e stellata
il cuore della barca, le sue arterie,
scattarono,
e occulte
serpentine costruirono
nell’acqua
un castello
di serpenti:
il fuoco distrusse quanto aveva
nelle sue mani
e quando con la sua lingua
toccò
la chioma
della polvere da sparo
scoppiò
come un tuono,
come sconfitta capsula,
l’imbarcazione da pesca.
Quindici
furono i
morti
pescatori,
disseminati
nella
notte fredda.

Mai
ritornarono da questo viaggio.
Né un solo dito di uomo,
né un solo piede nudo.

È poca morte quindici
pescatori
per il terribile
oceano
del Cile,
ma
quei
morti erranti,
espulsi
dal cielo e dalla terra
da tanta solitudine in movimento,
furono
come cenere
inesauribile,
come acque luttuose
che cadevano
sopra
le uve della mia patria,
pioggia,
pioggia
salata,
pioggia divoratrice che colpisce
il cuore del Cile e i suoi garofani.

Molti
sono,
si,
i morti
di terra e di mare,
i poveri
della miniera
ingoiati
dalla scura
marea della terra,
corrosi
dai
solforici
denti
del minerale andino,
e nella
strada,
nella fabbrica,
nel
tristissimo ospedale
dell’abbandono.
Si,
sono
sempre
poveri
i prescelti
dalla morte,
i raccolti in grappolo
dalle mani gelate
della raccoglitrice.

Ma questi
dispersi
in piena, in piena ombra,
con stelle
verso tutte le acque
dell’oceano,
quindici
morti
erranti,
poco
a
poco
integrati
col sale, con l’onda,
con la schiuma,
questi
senza dubbio
furono
quindici
pugnali
conficcati
nel cuore marino
della mia povera
famiglia.

Solamente
possiederanno l’ampia
bara dei acqua scura,
l’unica luce
che veglierà
i loro corpi
sarà
l’eternità
delle stelle,
e mille anni
vedova
vagherà per il cielo
la notte del naufragio,
quella notte.

Ma
dal mare
e dalla terra
torneranno
qualche giorno
i nostri morti.
Torneranno
quando
saremo
veramente
vivi,
quando
l’uomo
si sveglierà
e i popoli
cammineranno,
essi
dispersi, soli, confusi
col fuoco e l’acqua,
essi
triturati, bruciati,
in terra o mare, forse
saranno riuniti
finalmente
nel nostro sangue.
Meschina
sarebbe la vittoria solamente nostra.
Essa è il fiore finale dei caduti.
1956

Questa poesia è dedicata a una scrittrice/poetessa di rara sensibilità, dalla parola che incanta e soggioga per l'innegabile bellezza.
Un omaggio dovuto a Savina Dolores Massa che ci ha donato "Undici" ed.Il Maestrale, un libro che si legge con sofferenza,impregnato di amore per la verità, difficile da dimenticare!

domenica 5 luglio 2009

Zahir e Batin: il visibile e il nascosto "Perché le donne velate sono un insulto all’Islam"


Ogni tanto mi viene l'impulso di "sbirciare" su giornali che abitualmente non leggo per rendermi conto di ciò che leggono gli Italiani che non la pensano esattamente come me. Oggi mi ha colpito un articolo della redazione del Giornale che riporta il pensiero di Tahar Ben Jelloun, un noto scrittore marocchino impegnato nella lotta contro il razzismo.
Riporto solo la parte finale dell'articolo, tratto da Il Giornale.it, perchè mette l'accento sul ruolo della donna nei paesi musulmani e sul significato "nascosto" del velo islamico che condivido pienamente.

In occidente la donna può mostrarsi come crede, ma siamo certi che la sua condizione di donna sia in linea con i principi di Libertà e Democrazia che da ogni dove vengono sbandierati?

"I credenti che hanno interpretato il messaggio divino in modo semplicistico e letterale non hanno capito nulla dello Spirito e si accaniscono nella gestione delle apparenze. È sintomatico assistere oggi ad appassionati dibattiti su un particolare tipo di visibile/ invisibile. Penso all'invocazione del velo integrale per la donna, che sia con un burqa afghano o con un nikab (pachistano). In entrambi i casi la donna è coperta di nero dalla testa ai piedi, come un fantasma. In questi casi, l'uomo rivela i suoi problemi intimi con la sessualità: nascondendo la propria moglie, la propria figlia o la sorella, pensa di allontanare ogni desiderio o attrazione sessuale negli uomini della strada.

Questo comportamento, che è etnico e non religioso (non è infatti assolutamente musulmano) è la prova della paura della donna. La si rende invisibile per impedirle di esistere socialmente e sessualmente. È anche prova di grande ignoranza; l'Islam è più di una religione, è una cultura e Allah ha dato all'uomo non solo il suo libero arbitrio ma lo ha reso responsabile delle sue azioni. Così, il marito che rende sua moglie un fantasma nel nome dell'Islam è un ignorante che offende la parola di Dio. Pensa, coprendo sua moglie, di essere devoto all'Islam. Errore, è devoto al visibile, all'apparenza, che fa della donna una schiava del suo desiderio; uccide in lei ogni libertà, cosa che Dio non gli perdonerà."

giovedì 2 luglio 2009

da "Mia signora della parola" di Jolanda Catalano


Ascolta,
non so se un alito di voce
possa condurre il canto
oltre i confini astratti del non detto
o nell’abisso-fuoco che riaffiora.
Di questa identità
che spesso non mi è chiara
afferro al volo, a volte, qualche verso
e poi lo spargo nel Tempo che dimora
dove si strugge e vive
amore e pianto.



Voi non potete capire
le mie mani d’unguento
sulla carta
sciogliere enigmi
e spargere parole
con ali mozzate
di vento sulla nuca.
No, non potete sapere
il foglio che si copre
di crepe e mancamenti
e gocce di sangue
rifluire
dopo il ristagno amaro
del non detto.
E se Poesia fu,
è o sarà un verso
che sia ampio di spazio
e di respiro al petto.



Mi hai detto di seguirti
e t’ho seguita.
Fin nel deserto
ho scavato a fondo.
Che vuoi di più ancora
se sanguinano le dita
e graffi crudeli
bloccano il costato?
Poesia che a tratti ti nascondi
e poi mi indichi la via,
che cosa da scoprire
che già non sia,
mia feroce, mia pena,
mia estasi infinita.

Tre poesie inedite della grande Jolanda dedicate alla Poesia!
Difficili per me da commentare, tratte da una raccolta che mozza il fiato nel rivelarci un animo straordinario che sa tradursi, magicamente, in parole difficili da dimenticare... Grazie Jolanda! Grazie anche a Francesco Marotta.