venerdì 23 ottobre 2009

Herta Muller - Nobel Letteratura 2009



Il paese delle prugne verdi di Herta Müller


"Quando stiamo in silenzio, mettiamo in imbarazzo, diceva Edgar, quando parliamo, diventiamo ridicoli. Sedevamo da troppo tempo davanti alle foto sul pavimento. A forza di sedere, le mie gambe si erano addormentate.
Schiacciavamo tante prugne con le parole in bocca quante coi piedi nel prato. Ma anche col silenzio.
Edgar taceva.
Non riesco a immaginarmi alcuna tomba, oggi. Solo una cintura, una finestra, una noce e una fune. Ogni morte è per me come un sacco.
Se ti sentisse qualcuno, diceva Edgar, ti prenderebbe per pazza."


Si intitolava “La letteratura necessaria” l’evento del Festival della Letteratura di Mantova che presentava come ospite Herta Müller, la scrittrice rumeno tedesca a cui è stato appena conferito l’alto onore del premio Nobel 2009 e di cui si era parlato poco finora in Italia. Succede, che la letteratura necessaria - necessaria per chi la scrive e per chi la legge - non sia nota quanto la letteratura di mercato. Succede, perché, riconosciamolo, c’è una letteratura che potremmo chiamare da ‘fast reading’, coniando il termine per analogia con ‘fast food’, e ci sono poi i libri che hanno uno spessore diverso, che devono essere assaporati in maniera differente, che corrispondono ad una esigenza profonda. Di eticità, di libertà, di umanità essenziale. E i romanzi di Herta Müller appartengono a questo tipo di letteratura.

Il paese delle prugne verdi si srotola tra passato e presente, in una sorta di Bildungsroman della protagonista. Il passato con la madre, due nonne e un padre che era stato nelle SS e cantava ancora le canzoni inneggianti al Führer, in un paesino dall’atmosfera claustrofobica e oppressiva tanto quanto l’intera Romania di Ceauşescu che fa da sfondo alla narrazione principale del presente - l’amicizia di quattro studenti universitari, tre ragazzi e la scrittrice. C’era un’altra amica, Lola, e il libro si apre con la sua morte: Lola si suicida impiccandosi nell’armadio della stanza che condivide con altre tre ragazze. La morte come una via d’uscita da un paese senza libertà, in alternativa alla follia, oppure alla fuga.

Il paese delle prugne verdi sarebbe un libro nerissimo e disperato se non fosse per lo stile scelto da Herta Müller, per l’uso della metafora che cela le immagini più crude e attenua la realtà, per la poesia che affiora in ogni pagina e si annuncia nei versi di Gellu Naum in apertura, per anticipare il tema del libro: Ognuno aveva un amico in ogni pezzetto di nuvola/ così è infatti con gli amici dove il mondo è pieno di terrore...
Un libro necessario, per tutti noi che siamo convinti di vivere in un paese libero.

L'autrice
Herta Müller
Nitchidorf (Romania), 1953
Nasce a Nitchidorf, un villaggio tedesco del Banato rumeno. Studia all'Università di Timişoara, e nel 1976 inizia a lavorare come traduttrice in una azienda ingegneristica, dalla quale sarà licenziata nel 1979 per mancata collaborazione con la Securitate, i servizi segreti del regime di Ceauşescu.
Si guadagna da vivere come maestra d'asilo e insegnante di lingua tedesca. Nel 1982 pubblica il suo primo libro, che uscirà in forma censurata, come gran parte delle pubblicazioni dell'epoca. Nel 1987, lascia la Romania per andare a vivere in Germania dove vive tuttora insieme al marito, lo scrittore Richard Wagner, e da lì inizierà a ricevere proposte per divenire professore universitario.
(la recensione é tratta da Wuz.it)

mercoledì 21 ottobre 2009

Parliamo di ...cachi



Questo mese parliamo di ...Cachi

Il kaki (Diospyros kaki), o cachi nel linguaggio comune, è un tipico frutto autunnale che si caratterizza per il colore arancio brillante, la buccia liscia e lucida, che tende a rompersi facilmente quando il frutto è maturo, e la polpa molto dolce, simile ad una crema.

Le origini

La pianta di cachi, originaria della Cina (dove il frutto era chiamato la “mela d’oriente”), giunse in Giappone oltre mille anni fa, dove cominciò ad essere diffusamente coltivata.
La sua introduzione in Europa risale alla fine del Settecento, utilizzata inizialmente come pianta ornamentale; fu solo nel 1860 in Francia e, successivamente, in Italia che iniziò ad interessare come albero da frutto.

Le regioni italiane in cui è maggiore la produzione sono la Campania (da cui proviene circa il 50% della produzione nazionale) e l’Emilia-Romagna.

Appartenente alla famiglia delle Ebenaceae, la pianta di cachi, che raggiunge e talvolta supera i dieci di metri, si presenta con foglie acuminate di colore verde lucido e il frutto è una grossa bacca con forma prevalentemente arrotondata.
Il suo legno, particolarmente duro, veniva utilizzato per fabbricare oggetti molto robusti come mazze da golf e attrezzi sportivi.
La maturazione dei frutti avviene nei mesi tra ottobre e novembre, quando la polpa verdastra raggiunge il colore giallo-arancio. I cachi devono essere consumati a completa maturazione.
Dopo la raccolta, è necessario attendere che maturino ulteriormente, per eliminare il tipico effetto astringente al palato provocato dall'elevato contenuto di tannino.

Le varietà

Le varietà di cachi più conosciute sono:
- ”Loto di Romagna”, la cui zona tipica di produzione comprende i comprensori di Imola, Faenza, Lugo, Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini; si presenta di colore giallo aranciato, forma tonda e polpa consistente.

- “Vaniglia della Campania” è di colore rosso aranciato intenso con polpa liquiescente e sapore più dolce, ha forma rotonda e leggermente schiacciata alle due estremità.

Altre varietà conosciute sono: il “Fuyu” con maturazione tardiva, il “Kawabata”, il “Suruga” caratterizzato da polpa più dura.

Caratteristiche nutrizionali

Ricchi di vitamine, sali minerali e zuccheri i cachi sono frutti molto energetici, (contengono 65 calorie per 100 grammi). Contengono, inoltre, beta-carotene, vitamina C e, grazie alla presenza di potassio, fibre e calcio, hanno proprietà diuretiche.

Io sono ghiotta di cachi...per giunta ho la fortuna di poter disporre di un albero carico di frutti che è una vera gioia per gli occhi!
Posso invitarvi per una piccola scorpacciata?

martedì 13 ottobre 2009

Il Suo volto di Paolina Messina


Stiamo attraversando tempi difficili, privi di qualsiasi certezza. Parole come Verità e Giustizia vengono usate con significato ambiguo da più parti: ognuno può servirsene come meglio crede a supporto e giustificazione di azioni palesemente riprovevoli, finalizzate al raggiungimento di obiettivi che poco o nulla hanno a che fare con il Bene comune.
L'ipocrisia, l'intolleranza, la menzogna, l'inganno, lo sporco interesse dilagano apertamente negando il significato di altre parole che vorremmo poter usare senza fraintendimenti.
Penso all'Onestà, al Rispetto, alla Solidarietà, alla Libertà...
Sono un'inguaribile idealista, una persona che crede con ostinazione al significato delle parole e alla necessità di riscoprire linguaggi e modalità di comunicazione "dignitosi" e inequivocabili.

Vi propongo una lirica di Paolina che esprime con linguaggio semplice e diretto la sua profonda Fede, un Dono che auguro a me stessa e a chi ha la cortesia di leggermi.

Il Suo volto
Ha il capo reclino
Il Cristo sulla Croce
Non vedo il suo volto
ma so com'é
E' il volto del campesino sudamericano
che consuma la vita
nella terra non sua
E' il volto della madre di Santiago
che innalza la foto
del figlio scomparso
E' il volto del nero sudafricano
che strappa alle viscere della terra
diamanti non suoi
E'il volto di ogni emarginato
oppresso perseguitato sofferente
che giustizia reclama e attende

(dalla silloge "Tra frantumi di case")

sabato 3 ottobre 2009

La Maison rouge



Ho ceduto alle insistenze di due carissime amiche, stanche e deluse da una latitanza che rischiava di diventare permanente.
Dedico a Jole e Piera questo scritto, le ringrazio per un affetto che ricambio con gratitudine.

La maison rouge

Dopo aver attraversato una lunga serie di piccoli graziosi paesi, piuttosto simili tra loro, Jeannette decise di fermarsi.
In realtà si fermò a “Le Petit” attirata dal nome suggestivo del paese: Il Piccolo, era proprio ciò che cercava, un luogo che prometteva tempi distesi, per l’esiguità degli spazi, aria libera di circolare secondo il capriccio del tempo, forse perfino rapporti più autentici, più umani.
Lei era in fuga, la grande città che aveva alle spalle l’aveva colmata d’insofferenza, rabbia, delusione, aveva soffocato ogni desiderio del suo cuore, quasi ogni speranza.
Era partita alla ricerca di un luogo ove trascorrere la seconda parte della sua vita, presumibilmente sarebbe stata l’ultima…ma avvertiva chiaramente il dovere di tentare!
La stagione era la sua preferita, un “discreto” Autunno provenzale che recava i segni e i colori dell’estate appena trascorsa… alberi ancora frondosi, con appena un accenno di timidi gialli, in un verde ancora giovane e brillante.
Incalzata da una fame nascosta, entrò nell’unica locanda del paese per scoprire che la gente aveva occhi curiosi, affamati, e un atteggiamento affabile e accogliente, in contrasto con l’apparente indifferenza dell’ambiente circostante.
Il tempo di mangiare una zuppa appetitosa fu sufficiente per conoscere del posto quasi tutto quello che c’era da sapere.
Il paese era pressoché disabitato, solo anziani che aspettavano serenamente la conclusione di una vita appagante, e qualche giovane che ancora si tratteneva, in attesa di “decollare” per la più vicina città.
La locandiera, Francine, le assicurò l’ospitalità per la notte mostrandole, con orgoglio, una piccola stanza al piano superiore che emanava un sottile profumo di lavanda, unito all’aroma dei vecchi mobili tirati a lucido e della biancheria immacolata che ricopriva il letto, un fresco, lindo giaciglio che sembrava essere in paziente attesa.
Fu soggiogata dalla semplicità antica dell’ambiente, dalle tendine, orlate di piccoli fiordalisi, che si muovevano leggere sui vetri lustri della finestra socchiusa, dal catino che un poco discosto aspettava di essere riempito da una panciuta caraffa…
Con un colpo d’occhio registrò ogni cosa, anche due bellissime stampe che sulla parete mostravano un sentiero nel bosco e una veduta dai colori tenui di una lontana marina.
Decise che si sarebbe fermata, per quanto, non lo sapeva.
Trascorse il pomeriggio con Francine che le raccontò la sua triste storia, con la confidenza che si può avere solo con una vecchia amica, oppure con uno sconosciuto incontrato per caso, come avviene talvolta nell’angusto spazio di un treno destinato ad un lungo viaggio.
Seppe così che Francine era vedova, la stanza apparteneva alla sua unica figlia che forse sarebbe tornata per Natale, e forse no.
Si sorprese a parlare di sé, a rivelare la sua fuga e il bisogno di ricominciare la sua vita in un luogo tranquillo, senza legami e senza ansie…sarebbe vissuta della sua pensione, avrebbe acquistato una nuova casa che avrebbe colmato di comode cose fuori moda, ma belle, amiche , e tutte sue, nuove per lei e per la sua memoria.
Fecero un piano… senza accorgersi che discretamente il buio si era insinuato tra loro, dopo aver nascosto fuori tutto il resto.
Le Petit era intorno, sommerso e al sicuro, loro galleggiavano sulla scia di parole che luccicavano dell’entusiasmo per una nuova vita.
L’indomani, insieme, avrebbero cercato una vecchia casa, ce n’era più d’una in vendita a Le Petit, paese benedetto perché sconosciuto e tranquillo!
Jeannette dormì di un sonno profondo, come non le capitava da qualche tempo, al risveglio si sentiva scattante ed emozionata, piena di una forza giovane che credeva perduta per sempre.
Anche Francine sembrava più giovane, ai raggi del sole i suoi capelli ramati avevano riflessi d’oro e i suoi occhi nocciola sembravano nascondere piccoli guizzi di fiamma…
Esplorarono il paese nella prima luce del mattino, la migliore per dipingere, pensò, poi si fermarono dinanzi ad una casa che sembrava più sola delle altre.
Era circondata da un piccolo giardino pieno di fiori, a dispetto delle erbacce che si erano dovute ritirare dopo una pacifica invasione non riuscita.
Le imposte erano sconnesse e screpolate, ma il tetto e il camino sembravano in ordine, in alto poi svettava un galletto- banderuola, baldanzoso e sfacciato nel rivendicare il suo ruolo di sentinella.
Vuoi vederla? Le chiese Francine.
- Certo, mi piacerebbe…
Questione di un attimo. Francine aveva già aperto la porta e le faceva strada, per spalancare poi con movimenti decisi le imposte perché entrassero la Luce e l’Aria, la Vita!
Si ritrovò nella casa dei suoi sogni, si sentì avvolgere in un caldo abbraccio e trasportare di colpo in un altro tempo… un futuro, a lungo tessuto di gioia e di speranza.
Era stata abile Francine. L’aveva condotta esattamente dove avrebbe voluto essere!
Francine parlava:
- Era la mia casa, ma io non potrei più viverci, però a te potrei venderla, se vuoi, così non mi sembrerebbe di averla persa per sempre…
Con gli occhi pieni di lacrime guardò la sua nuova amica che sorrideva con aria soddisfatta, le sembrò per un attimo una pigra gatta rossa dagli occhi verdi, una piccola strega soddisfatta che aveva compiuto il suo incantesimo.
Avrebbe acquistato la casa.
Le imposte, la porta, il recinto li avrebbe dipinti di rosso, del colore del fuoco che ardeva con arroganza nel vecchio camino.
A Le Petit si vide un fumo inatteso, tutti compresero che Francine avrebbe finalmente ritrovato la gioia, quello che la gente non sapeva è che sarebbe nata la Maison Rouge.
Oggi “Le Petit” non figura più sulle carte geografiche, ma c’è un piccolo paese della Provenza che in autunno fiammeggia nel verde, è Maison Rouge, lì tutte le case hanno le imposte dipinte di rosso…