giovedì 30 dicembre 2010

BUON CAPODANNO 2011



Non aspettare di finire l’università,
di innamorarti,
di trovare lavoro,
di sposarti...
di avere figli,
di vederli sistemati,
di perdere quei dieci chili,
che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina,
la primavera,
l’estate,
l’autunno o l’inverno.

Non c’è momento migliore di questo per essere felice.
La felicità è un percorso, non una destinazione.
Lavora come se non avessi bisogno di denaro,
ama come se non ti avessero mai ferito
e balla, come se non ti vedesse nessuno.
Ricordati che la pelle avvizzisce,
i capelli diventano bianchi e i giorni diventano anni.
Ma l’importante non cambia:
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è il piumino che tira via qualsiasi ragnatela.
Dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza.
Dietro ogni risultato c’è un’altra sfida.
Finché sei vivo, sentiti vivo.
Vai avanti, anche quando tutti si aspettano che lasci perdere.
(Madre Teresa di Calcutta)

Una poesia che dedico a Sante, Antonio e poi a tutti i miei amici malati di Sla,e ai loro familiari...infine a chi "ama la vita"...per ribadire che la
vita è un dono gratuito ed irripetibile, un regalo da scartare ogni giorno con meraviglia e gratitudine...da rendere prezioso con la vicinanza a chi soffre perchè non si senta mai solo!

giovedì 23 dicembre 2010

Natale di Boris Pasternak



NataleEra pieno inverno.
Soffiava il vento dalla steppa.
E aveva freddo il neonato nella grotta
sul pendio della collina.
L'alito del bue lo riscaldava.
Animali domestici stavano nella grotta,
sulla culla vagava un tiepido vapore.
Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio
e i grani di miglio
dalle rupi guardavano
assonnati i pastori...
E lì accanto, mai vista sino allora,
più modesta d'un lucignolo
alla finestrella d'un capanno,
tremava una stella sulla strada di Betlemme...

Questa poesia, una delle tante scritte da grandi poeti,ci ricorda che il Natale è un evento col quale dobbiamo confrontarci...ognuno può viverlo a modo suo, persino non considerarlo perchè credente di altra religione, per i cristiani resta una ricorrenza che ci costringe a porci severe domande. Che significato ha il Natale per noi?
Io dedico questa lirica a tutti i miei amici, con l'augurio sincero che ognuno possa riscoprire il Messaggio evangelico così duramente svilito nei tempi che ,ahimè, viviamo.
A tutti auguro giorni di Speranza!

sabato 18 dicembre 2010

Il Natale di Martin di Lev Tolstoi



Il Natale di Martin In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.
Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.»
Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi.»
Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole:
- Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.
L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso.
Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno.
- Entra - disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
- Che Dio ti benedica!- rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.
- Ieri sera- rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.
Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa.
- Mangia, mia cara, e riscaldati - le disse.
Mangiando, la donna gli disse chi era: - Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. - È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.
- Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.
Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava.
Dopo un po', vide una donna che vendeva mele da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.
- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.
- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.
Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio:
- Martin, non mi riconosci?
- Chi sei? - chiese Martin.
- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: « Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.»
Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.

giovedì 25 novembre 2010

25 novembre - Giornata Mondiale per l'Eliminazione della Violenza sulle Donne


Mai più violenza sulle donne
La violenza sulle donne è uno scandalo per i diritti umani. In molte società questo problema si scontra con la mancanza di interesse, il silenzio e l'apatia dei governi.

La campagna Mai più violenza sulle donne, lanciata nel maggio 2004, affronta le diverse violazioni dei diritti delle donne: dalla violenza domestica alla tratta, dagli stupri durante i conflitti alle mutilazioni genitali.

Sia in tempo di pace che in tempo di guerra, le donne subiscono atrocità semplicemente per il fatto di essere donne. A milioni vengono picchiate, aggredite, stuprate, mutilate, assassinate, in qualche modo private del diritto all'esistenza stessa.

AI chiede ai governi, alle organizzazioni e ai privati cittadini di impegnarsi pubblicamente per rendere i diritti umani una realtà per tutte le donne.

Secondo il diritto internazionale dei diritti umani, tutti i governi hanno la responsabilità di prevenire, indagare e punire gli atti di violenza sulle donne in qualsiasi luogo si verifichino: tra le mura domestiche, sul posto di lavoro, nella comunità o nella società, durante i conflitti armati.

E' fondamentale che i governi si impegnino per rendere più forti le donne, garantendo loro indipendenza economica e protezione dei diritti fondamentali. AI si rivolge a loro per chiedere che i trattati internazionali sui diritti umani vengano ratificati e attuati ovunque.

In questa battaglia per i diritti umani, sono essenziali anche la solidarietà degli uomini e il loro coinvolgimento nella campagna Mai più violenza sulle donne.
Fonte: Amnesty International Italia

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La violenza contro le donne coinvolge donne di ogni estrazione sociale. E'credenza comune che la violenza sia solo di tipo fisico, in realtà può assumere forme diverse, può essere sessuale, psicologica e perfino economica...
Di violenza si parla poco perchè spesso trova spazio all'interno della relazione di coppia, nelle famiglie che dovrebbero rappresentare luoghi "sicuri" perchè sede di rapporti basati sulla fiducia, la solidarietà e l'amore.
Le donne che subiscono violenza vivono situazioni di estrema sofferenza, per lo più provano vergogna e non di rado si convincono di essere mogli e madri inadeguate, con la conseguenza inevitabile di riportare oltre ai danni fisici una seria compromissione della loro salute mentale.
Bisogna che la società tutta si impegni ad arginare il problema della violenza, con un adeguato sostegno alle donne e alle famiglie. Le agenzie educative, parlo della Scuola di ogni ordine e grado hanno il dovere di promuovere percorsi socio culturali per l'affermazione del rispetto dell'altro. Le Istituzioni, da parte loro, dovrebbero tutelare con prontezza ed efficacia le donne che subiscono violenze.
Mi piacerebbe che le giornate come quella di oggi- che vedono tutte le donne solidali e in prima linea- rappresentassero il punto di partenza per un cammino che non si esaurisce nel tempo...

domenica 14 novembre 2010

Quando in classe leggevo Macbeth di Pietro Citati


E’ il titolo di un articolo di Citati apparso su Repubblica del 15/10/2008…accuratamente ritagliato e collocato nella cartella “ Ritagli”nella quale conservo ciò che mi riservo di rileggere un giorno, non avendone il tempo al momento.
La cartella è gonfia all’inverosimile ma quando la apro, con l’intento di operare una specie di “bonifica”accade, puntualmente, che mi areno…mi blocco dinanzi a qualcosa che cattura la mia attenzione, ecco che il “ritaglio” mi riempie di gioia e mi benedico per averlo conservato.
La bonifica- cernita- viene differita a “tempi migliori”, la cartella resta in attesa di nuovi inquilini che non mancano, vista la penuria di case in affitto a prezzi ragionevoli, temendo di certo le mie estemporanee ispezioni…

Buona lettura, con l’invito a visitare il post “Asino chi legge” sul sito di Massimo Augeri www.letteratitudine.blog.kataweb.it che all’articolo di Citati ben si collega.


Repubblica 15.10.08
In classe leggevo Macbeth
di Pietro Citati

Molto spesso provo dei sussulti di gioia ricordando gli anni, dal 1954 al 1959, nei quali insegnavo negli avviamenti professionali (medie più modeste, oggi credo scomparse). Venivo da Monaco di Baviera, dove ero lettore d´italiano all´Università, e tenevo seminari, sulle varianti del Giorno di Parini e dei Canti di Leopardi, insieme a giovani austeri, silenziosi e coltissimi, spesso più anziani di me. Alcuni di loro avevano combattuto a Berlino negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale: allora erano giovanissimi, e il cranio adolescente non sopportava la durezza dell´elmo. Dopo due anni di silenzio, ritornando in Italia mi reimmersi nella bolgia della realtà. A Frascati e a Roma, avevo tre classi di quaranta studenti l´una, alle quali avrei dovuto insegnare italiano, storia e geografia. Prima bisognava, come allora si diceva, mantenere la disciplina: lo feci col soccorso di qualche schiaffo, ciò che oggi mi avrebbe procurato, da parte della magistratura italiana, la condanna a venti anni di lavori forzati.
Come dimenticare quegli anni bellissimi? Appena arrivavo nella prima avviamento, trovavo davanti a me, seduti meticolosamente sul primo banco sotto la cattedra, due fratelli gemelli.
Erano piccoli, educati, immobili, silenziosi, in apparenza attentissimi: non avrei potuto desiderare scolari migliori; eppure le mie parole (e qualsiasi parola, anche quella del Padre Eterno) attraversavano le loro orecchie, non vi lasciavano nessuna eco, e poi volavano via, verso le finestre semiaperte e l´azzurro del cielo. Non leggevano mai un libro: non ascoltavano mai le lezioni; non studiavano mai; rimanevano impassibili e indifferenti qualsiasi cosa dicessi. Minacciare la bocciatura non produceva in loro nessun trauma (come oggi si suppone): non sapevano nemmeno cosa fosse un trauma. Avevano scelto di mantenere sempre una passività silenziosa, percorrendo la scuola come due aeroliti caduti da un pianeta sconosciuto.
Il momento più bello - me lo ricordo con struggimento - era attorno alle dieci e un quarto, quindici minuti prima dell´intervallo: in ogni classe, tutti i quaranta ragazzi aprivano con un gesto assolutamente contemporaneo la cartella o il sacco. Ne estraevano un grosso brandello di carta unta, dal quale fuoriusciva un immenso panino: come dicono a Roma, una ciriola. Non avevo mai visto una ciriola così monumentale. Ognuna era aperta a metà; e conteneva una cotoletta, oppure una spessa e odorosa frittata di zucchine. Le mandibole dei ragazzi non riuscivano ad afferrare la ciriola: la smozzicavano in punta, la mordicchiavano ai lati, fino a impadronirsi del cibo desiderato da due ore. Il pasto, laboriosissimo, durava almeno quaranta minuti. Il pane, la carne, la frittata di zucchine scomparivano lentamente nel corpo quasi infantile, mentre un lieve colorito roseo ne irrorava le guance.
In classe, non volava una mosca. Niente turbava la solenne beatitudine del pasto. Era perfettamente inutile tentar di violare quel lungo momento pacifico: sabotare l´azione dei denti, della lingua, dei succhi gastrici, dello stomaco. Se ne avevo voglia, raccontavo una storia divertente. Nessuna risata: la bocca era troppo piena; solo un muto squillare di gioia negli occhi intelligenti.
***
Temo di essere stato un pessimo professore. I temi di italiano erano pieni di errori, disordinati, sgangherati, ma spesso riproducevano fedelmente la vivacità del discorso orale. Annotavo brani espressivi. Ma io ero stato paracadutato in quella scuola per insegnare l´italiano; e se il ragazzo più intelligente scriveva: «Mi´ padre lavora ar Borigrinigo», cosa potevo fare? Avrei dovuto prendere tutti gli scolari, uno per uno, portarli davanti alla lavagna, farli scrivere col gessetto, insegnando loro la giusta grafia. Era impossibile. Se avessi concesso venti minuti d´attenzione esclusiva a un solo ragazzo, la classe sarebbe esplosa in un urlo di gioia, le cerbottane, estratte dalla cartella, avrebbero lanciato frecce o pallini bagnati d´inchiostro, macchiando i visi, le orecchie, gli occhi, le mani, i grembiuli di tutti. Anch´io avrei corso seri pericoli, divorato e inghiottito insieme alle frittate di zucchine.
C´era una sola possibilità di salvezza: rinunciare alla scrittura, e leggere a perdifiato. Ricordo con orgoglio i miei successi di lettore: in prima avviamento, le meravigliose Favole italiane di Calvino e poi, via via, I promessi sposi, semplificati nella sintassi, che ottenne il successo dei grandi romanzi d´avventura. In terza avviamento, osai di più: Delitto e castigo, appena tagliato in qualche capitolo, e il Macbeth, con le diverse voci dei personaggi. Il preside aveva dubbi sui miei metodi: ma io continuavo a leggere e leggere; e la mia voce tornava a casa lievemente arrochita.
Sono persuaso che la condizione del padre, della madre, del nonno o del professore, che leggono un libro al figlio, al nipote e allo studente, sia uno dei momenti supremi della vita. I bambini e i ragazzi adorano (anche oggi) la lettura ad alta voce fatta da un adulto: la lettura giusta, compiuta con passione, colore, estro, dono di intrattenimento. I padri e le madri non amano più questa lettura, che dovrebbe occupare almeno un´ora al giorno, prima di cena. Preferiscono depositare i figli nel famoso tempo pieno (utile ai genitori, ma nocivo per i ragazzi e il loro rapporto con la famiglia): o portarli in macchina, attraverso le convulse strade della città, nelle piscine puzzolenti di cloro, o alla lezione di yoga, o ad allenarsi in palestra.

domenica 31 ottobre 2010

Kahlil Gibran - selezione -


L’altro
Il tuo prossimo
è lo sconosciuto che è in te, reso visibile.
Il suo volto si riflette
nelle acque tranquille,
e in quelle acque, se osservi bene,
scorgerai il tuo stesso volto.
Se tenderai l'orecchio nella notte,
è lui che sentirai parlare,
e le sue parole saranno i battiti
del tuo stesso cuore.
Non sei tu solo ad essere te stesso.
Sei presente nelle azioni degli altri uomini,
e questi, senza saperlo,
sono con te in ognuno dei tuoi giorni.
Non precipiteranno
se tu non precipiterai con loro,
e non si rialzeranno se tu non ti rialzerai.


Occhi

Lo spirito in ognuno di noi si manifesta negli occhi,
nell'espressione e in tutti i movimenti e i gesti del corpo.
Il nostro aspetto, le nostre parole,
le nostre azioni
non sono mai più grandi di noi stessi.
Giacché è l'anima la nostra dimora,
gli occhi ne sono le finestre
e le parole i messaggeri.


Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro
per le tue pene.
Ti amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore
sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle
canta l'eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde.

Sofferenza

Il tuo dolore è lo spezzarsi del guscio
che racchiude la tua capacità di comprendere.
E se potessi mantenere il cuore
sospeso in costante stupore
ai quotidiani miracoli della vita,
il dolore non ti sembrerebbe
meno meraviglioso della gioia;
e accetteresti le stagioni del tuo cuore,
come hai sempre accettato
le stagioni che passano sui tuoi campi.

Magia della vita

In un campo ho veduto una ghianda:
sembrava così morta, inutile.
E in primavera ho visto quella ghianda
mettere radici e innalzarsi,
giovane quercia verso il sole.
Un miracolo, potresti dire:
eppure questo miracolo si produce
mille migliaia di volte
nel sonno di ogni autunno
e nella passione di ogni primavera.
Perché non dovrebbe prodursi
nel cuore dell'uomo?

Non rinunciare

Non rinunciare alla speranza,
non abbandonarti alla disperazione
a causa di ciò che è passato,
giacché rimpiangere l'irrecuperabile
è la peggiore delle umane debolezze.

Biografia

Kahlil Gibran - poeta, pittore e filosofo - nacque nel 1883 nella città di Besharri in Libano. Da ragazzo, con la madre e i fratelli emigrò a Boston dove studiò e poi iniziò la sua carriera di scrittore. I suoi libri, scritti in arabo e in inglese, sono stati tradotti in venti lingue. Il suo libro Il Profeta è uno dei libri più letti del XX secolo. Ciò che Kahlil Gibran ci ha lasciato è la potenza delle sue parole che continuano a ispirare coloro che desiderano ardentemente la pace e che ricercano l’amore e la giustizia. Gibran morì a New York il 10 aprile 1931. Prima della sua morte, aveva espresso il desiderio di essere sepolto nel suo luogo natale, Besharri, e così avvenne l’anno successivo alla sua scomparsa. Per celebrare il centesimo anniversario della nascita del poeta, Washington gli ha dedicato un Memorial Garden. Nel giardino è stata posta una sua statua in bronzo e panchine di pietra su cui sono riportati brani dai suoi scritti.

Amo molto la Poesia di


domenica 24 ottobre 2010

Rimbocchiamoci le maniche !



Un anno da segretario, fai la tua domanda a Bersani
contributo inviato da redazionepd il 21 ottobre 2010
Il segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, incontrerà i giovani del PD lunedì 25 ottobre, alle ore 16,30, al Tempio di Adriano (piazza di Pietra, a Roma).

L’appuntamento, che si svolge ad un anno esatto dalle primarie, sarà l’occasione per fare il punto sul partito e per confrontarsi sui principali temi dell’attualità politica.

Il segretario del Pd incontrerà 150 giovani del partito e risponderà alle loro domande.

L’iniziativa sarà trasmessa in diretta tv su Youdem, canale 813 di Sky, e in streaming sul sito www. Youdem.tv.

Inviateci le vostre domande da fare a Pier Luigi Bersani o con un commento a questo post o inviando un sms al 345.6504116

sabato 16 ottobre 2010

Uniti contro la fame 16 ottobre 2010


Oggi è la giornata mondiale della fame nel mondo. Una fame che continua ad aumentare. Attualmente un miliardo di persone nel mondo soffre di fame cronica.
Evidentemente i provvedimenti fino ad oggi intrapresi dagli organismi internazionali sono stati insufficienti...in alcuni casi addirittura controproducenti per aver privilegiato una logica di mercato non più sostenibile.

Celebriamo questa giornata con l'invito ai nostri governi ad agire in modo incisivo, nella considerazione che come singoli cittadini poco possiamo fare.

"In direttaNotizie
Ministero
30.09.2010
Giornata mondiale dell'alimentazione 2010, 'Uniti contro la fame'.
Il 16 ottobre ricorre l'annuale appuntamento indetto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao). L'amministrazione dell'Interno si mobilita per sostenere la sottoscrizione di una petizione contro la fame nel mondo


'1billionhungry' è il progetto con il quale l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao) si prefigge di raggiungere, entro il mese di ottobre, l'obiettivo di un milione di firme a sostegno della petizione contro la fame, in coincidenza con la Giornata mondiale dell'alimentazione, in calendario il 16 ottobre.

'Uniti contro la fame' è, infatti, il tema scelto come filo conduttore delle manifestazioni in programma per l'appuntamento annuale, giunto quest'anno alla sua IX edizione, per riconoscere gli sforzi compiuti contro la fame a livello nazionale, regionale e internazionale.
Un contributo concreto e significativo è quello dell'amministrazione dell'Interno che sostiene l'iniziativa attraverso il coinvolgimento dei propri uffici centrali e periferici, in particolare le prefetture. Ciò per dare la massima divulgazione alla raccolta di firme che potrà essere effetuata collegandosi al sito web www.1billionhungry.org.Già aperte le celebrazioni ufficiali italiane, che si svolgeranno fino a dicembre e vedranno la partecipazione di amministrazioni dello Stato, enti pubblici e privati, oltre alle tre organizzazioni del polo agro-alimentare delle Nazioni Unite, Fao, Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) e Programma alimentare mondiale (Pam)."

martedì 12 ottobre 2010

Séraphine de Senlis



Séraphine de Senlis esce dall’oblio.

Nel 2008 attraverso un mostra dei suoi quadri al museo Maillol di Parigi e due biografie, la prima ad opera di Alain Vircondelet “ De la peinture a la folie”, la seconda della psicanalista Francoise Cloarec “Séraphine , la vita sognata di Séraphine de Senlis”, esce dall’oblio la vita e l’opera di una donna semplice e sfortunata vissuta in Francia durante l’occupazione nazista.

Séraphine, come migliaia di internati negli ospedali psichiatrici, muore di abbandono e di stenti nel manicomio di Clermont nel 1942 all’età di 78 anni.
Durante l’internamento Séraphine non dipinge, aveva però espresso il suo genio di artista povera e stramba in un altro tempo, quando di giorno sfregava i pavimenti delle case dei ricchi di Senlis, e di notte – al lume di una lampada a pertrolio- dipingeva su tavolette di legno, con colori creati da lei stessa, olio sottratto dai lumi della chiesa, terre e sangue di animali, succo di frutti della natura…
obbedendo a visioni e voci che le imponevano di dipingere.
Il suo regno segreto era la natura, grandiosa e spesso minacciosa, fonte di ispirazione per riprodurre sulle sue tavole una silente follia libera da ogni costrizione.

In Italia usciranno quasi in contemporanea un film del regista Martin Provost “Séraphine”, già premiato in Francia con 7 premi César ( dal 22 ottobre), e il libro di Francoise Cloarec (dal 27 ottobre ed. Archinto).

Triste che una grande, singolare artista, debba essere conosciuta e apprezzata solo ora…ancora più triste l’amara constatazione che mentre il dolore e la libertà la spingevano a dipingere, la forzata reclusione abbiano spento irrevocabilmente il suo poderoso talento!

domenica 10 ottobre 2010

Una gioia incontenibile!



Una gioia incontenibile è quella che provo alla notizia che finalmente, prima del previsto, i 33 minatori imprigionati nella miniera del Cile potranno rivedere la luce e riabbracciare le loro famiglie.
Si tratta di uomini, lavoratori coraggiosi che non hanno ceduto allo sconforto per una situazione che sembrava senza speranza.
Abbiamo bisogno ogni tanto di una buona notizia! Rallegriamoci!

"Per i trentatré minatori intrappolati in Cile nella miniera di San Josè, a 700 m di profondità, potrebbe esserci una svolta tra una settimana. Infatti, la loro liberazione sembra vicina, in quanto è stato ultimato il primo pozzo di soccorso che potrebbe entrare in funzione già mercoledì prossimo.

La ripresa delle operazioni di salvataggio dei minatori in Cile, dopo la falla, proseguono. L’escavatore T-130, che è all’azione su uno dei tre pozzi di soccorso, è arrivato a 535 m di profondità; mancano per raggiungere l’obiettivo, ancora 90 m.

Il ministro delle Miniere cileno, Laurence Golborne, ha garantito che entro sabato sarà ultimato il pozzo di soccorso e che ci vorranno almeno altri due, tre giorni per riportare in superfice i trentatré minatori."http://job.fanpage.it

giovedì 7 ottobre 2010

Poesia di Tahar Ben Jelloun



Sono venuto nel tuo paese con il cuore in mano
Espulso dal mio
Un pò volontariamente e un pò per bisogno
Sono venuto
Siamo venuti per guadagnarci da vivere
Per salvaguardare la nostra sorte
Guadagnare il futuro dei nostri figli
L'avvenire dei nostri anni già stanchi.
Guadagnarci una prosperità che non ci faccia vergognare,
il tuo paese non lo conoscevo
E' un'immagine...
Un miraggio, credo, ma senza sole...
Siamo arrivati qui ad informare, con un canto di follia nella testa...
E già la nostalgia e i frammenti del sogno...
Sopravviviamo tra l'officina o il cantiere e i pezzi del sogno,
il nostro cibo, la nostra dimora.
Dura l'esclusione.
Rara la parola rara la mano tesa.

Che dire? Nel mondo che conosciamo, nel nostro paese dilaniato da lotte continue per il potere può esserci ancora posto per chi sta peggio di noi e si aspetta una "mano tesa? E' un pensiero che mi assilla...non trovo risposte.

venerdì 1 ottobre 2010

Tahar Ben Jelloun


Tahar Ben Jelloun è uno degli autori marocchini più conosciuti in Europa. Nasce a Fèz il giorno 1 dicembre 1944 dove trascorre la sua giovinezza. Ben presto, però, si trasferisce prima a Tangeri, dove frequenta il liceo francese, e poi a Rabat. Qui si iscrive all'università "Mohammed V" dove si laurea in filosofia.

Intorno ai primi anni '60 Ben Jelloun inizia la sua carriera di scrittore ed è in questo periodo che partecipa attivamente alla stesura della rivista "Souffles" che diventerà uno dei movimenti letterari più importanti del Nord-Africa. Fa la conoscenza di uno dei personaggi più importanti del momento, Abdellatif Laâbi, giornalista e fondatore di "Souffles", da cui trae innumerevoli insegnamenti e con cui elabora nuove teorie e programmi.
Contemporaneamente porta a termine la sua prima collezione di poesie intitolata "Hommes sous linceul de silence" che viene pubblicata nel 1971.

Dopo aver conseguito la laurea in filosofia si trasferisce in Francia dove frequenta l'università di Parigi. Qui ottiene il dottorato realizzando uno studio sulla sessualità degli immigrati nord-africani in Francia, studio da cui, intorno alla seconda metà degli anni '70, scaturiranno due testi importanti quali "La Plus haute des solitudes" e "La Reclusion solitaire". In queste due opere si sofferma ad analizzare la condizione degli emigrati magrebini in Francia che, fuggiti dal proprio paese con l'intento di cambiare vita, di migliorare la propria posizione sociale, sono diventati i nuovi schiavi di antichi padroni.

Pian piano la sua voce comincia a farsi sentire ma l'eco di queste parole si farà più intenso e penetrante con la pubblicazione di due opere importantissime quali "L'Enfant de sable" e "La Nuit sacrée", quest'ultima vincitrice del premio Goncourt che lo ha designato quale scrittore di fama internazionale. Da allora i suoi testi sono diventati sempre più numerosi mentre il genere letterario in cui si è distinto si è diversificato nel tempo.

Ha scritto novelle, poesie, opere teatrali, saggi, riuscendo ad apportare in ognuna delle sue opere elementi innovativi rispetto alla tradizione a cui egli stesso guardava e, contemporaneamente, la sua scrittura si è evoluta di giorno in giorno. Le tematiche trattate sono molteplici ma si basano tutte su argomenti scottanti e sempre attuali come l'emigrazione ("Hospitalité française"); la ricerca d'identità ("La Prière de l'absent" e "La Nuit sacrée"), la corruzione ("L'Homme rompu").

Diversa è anche l'ambientazione delle storie tant'è vero che dal Marocco di "Moha le fou", "Moha le sage", o "Jour de silence à Tanger", si passa a testi ambientati in Italia ed in particolare a Napoli ("Labyrinthe des sentiments" e "L'Auberge des pauvres"). A questa lunghissima lista di opere ne va aggiunta una, più recente, "Cette aveuglante absence de lumière" che, nonostante le critiche ne abbiano accompagnato la pubblicazione, ha impressionato il pubblico per la sua forza, per la sua scrittura che pare aver raggiunto in queste pagine il suo punto più alto.
Testo originale a cura di Ester Di Bello

Poesia di Tahar Ben Jelloun

Sappi che ogni faccia è un miracolo.
Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche.
Nn hanno importanza bellezza o bruttezza:
sono cose relative.
Ogni faccia è un simbolo della vita,
...e ogni vita merita rispetto.
Nessuno ha il diritto di umiliare un'altra persona.
Ciascuno ha diritto alla sua dignità.
Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello,
di meraviglioso,
di diverso e di inatteso.
Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità.


Tahar Beb Jelloun è tra i miei scrittori preferiti.
Immagino che molti dei miei ospiti lo conoscano e lo apprezzino, ma non posso fare a meno di condividere con altri ciò che mi emoziona.ele

domenica 5 settembre 2010

"Estasi culinarie" di Muriel Barbery ed.e/o


Dedicato a chi ama leggere, a chi apprezza la buona cucina, a chi sa inventarsi nuove ricette e ha il coraggio di proporle agli amici, a chi riconosce il valore di sapori e odori che ci offre la natura e affondano le loro radici nella memoria di un tempo passato...

Monsieur Arthens, il più grande critico gastronomico del mondo, a sessantotto anni, sta per morire per un’insufficienza cardiaca: un’ironia della sorte, dato che aveva sempre rimproverato agli altri di non mettere abbastanza cuore nella loro cucina e nella loro arte. Ma morire non ha importanza, solo una cosa gli interessa: cercare e trovare un sapore che gli frulla nel cuore. Un sapore dell’infanzia o dell’adolescenza, una pietanza primordiale e sublime, annidato nel più profondo di se stesso e che, alle soglie della morte, si manifesta come l’unica verità che in vita sua sia stata detta. Nel palazzo lussuoso di rue de Grenelle ( lo stesso de "L’eleganza del riccio"), si consuma, si fa per dire, questa spasmodica ricerca del “Sapore per eccellenza”. Attraverso la memoria si va a ritroso, nel passato di Monsieur Arthens, ripercorrendo le tappe più importanti della sua vita: dai piatti poveri dell’infanzia alle prelibatezze di haute cuisine. Le testimonianze a più voci (i familiari, l’amante, l’allievo, il gatto, la portinaia Renèe…), ciascuna delle quali prende la parola ed esprime il suo punto di vista su un grand’uomo pubblico e un misero uomo privato. Lui, in prima persona, celebra se stesso per aver elevato un’arte minore, quella culinaria, ad una disciplina tra le più prestigiose e di aver assaporato il profumo inebriante del potere creando e demolendo reputazioni; con la sua penna ha dispensato sale e miele ai quattro venti attraverso giornali, trasmissioni e dibattiti… Uomo dispotico e pieno di sé, ama tra tutti i familiari solo un nipote, Paul, e solo a lui e alla moglie ha confidato la sua angoscia.

Il romanzo è l’esaltazione del gusto per il cibo, le ricette sfavillano nei loro colori davanti ai nostri occhi e pare quasi di sentirne i profumi, per non parlare del gusto, dolce e salato; frammenti voluttuosi, poesia precisa, la cucina: un’opera d’arte tra le più sontuose e magnifiche in quanto comprende tutti i sensi…(il pasto si rivela decisamente sinestetico). Un uragano di emozioni, come bolle d’aria che risalgono rapide verso la superficie dell’acqua e, liberate, scoppiano in uno scroscio di applausi. In un finale imprevedibile, Arthens trova quel gusto indefinibile, un sapore ritrovato in un’apoteosi di desiderio autentico e piacere incontrastato!

Le pagine di questo romanzo zampillano di immagini, sensazioni e percezioni quasi erotiche del cibo, tanto sono intrise di emotività ed estasi…(calpestavo l’erba secca e folta del giardino, e in questo sogno di fiori e ortaggi mi inebriavo di profumi). Alcune similitudini di pag. 46 “L’orto” ricordano delle poesie di Pablo Neruda… Il libro presenta, a mio avviso, due pregi: il primo la tecnica narrativa di far parlare i personaggi ciascuno dal proprio punto di vista; il secondo lo stile ricco e sontuoso: ogni parola è cesellata come metallo prezioso e plasmata in un trionfo di modulazioni musicali e poetiche. I libri di questa autrice ricalcano una struttura narrativa tanto atipica quanto efficace, mirabile lo stile, una sorta di rigoglio della natura.

L’autrice - Muriel Barbery, nata a Casablanca nel 1969 da genitori francesi, ha insegnato Filosofia in un istituto universitario di formazione per insegnanti. Questo è il suo primo romanzo scritto nel 2000 ("Una golosità", edito da Garzanti nel 2000 e ora ripubblicato da e/o con il nuovo titolo "Estasi culinarie"). Ma il suo romanzo successivo "L’eleganza del riccio", è stato un vero caso letterario in Francia e un grande best-seller anche in Italia, è stato tradotto in 31 lingue ed insignito di numerosi premi. Ora, l’autrice vive in Giappone, a Kyoto, e sta preparando il suo prossimo libro, probabilmente ambientato in Giappone.

Recensione a cura di Arcangela Cammalleri dal sito http://www.Sololibri.net/

martedì 17 agosto 2010

Ode alle cose di Pablo Neruda



Da navegaciones y regresos (1959) di Pablo Neruda

Ode alle cose

Amo le cose pazze,
pazzamente.
Mi piacciono le tenaglie,
le forbici,
adoro
le tazze,
gli anelli,
le zuppiere,
per non parlare, naturalmente,
del cappello.

Amo
tutte le cose,
non solo
le eccelse,
ma
quelle infinitamente
piccole,
il ditale,
gli speroni,
i piatti,
le fioriere.

[------------]

Amo
tutte
le cose,
non perché siano
ardenti
o profumate,
ma perché
non so,
perché
quest’oceano è il tuo,
è il mio:
i bottoni,
le ruote,
i piccoli
tesori
dimenticati,
i ventagli nelle
cui piume
l’amore ha fatto appassire
i suoi fiori d’arancio,
le coppe, i coltelli,
le forbici,
tutto ha
nel manico, nell’orlo,
l’impronta
di certe dita,
di una mano remota
smarrita
nel più dimenticato degli oblii.

[-----------]

Oh fiume
Irrevocabile
delle cose,
non si dirà
che solo
ho amato
i pesci,
o gli alberi della selva e della prateria,
che non solo
ho amato
ciò che salta, s’arrampica, sopravvive, sospira.
Non è vero
molte cose
mi hanno detto tutto.
Non solo m’hanno toccato
o le ha toccate la mia mano,
ma hanno accompagnato
in modo tale
la mia esistenza
che con me sono esistite
e sono state per me tanto esistenti
che hanno vissuto con me mezza vita
e moriranno con me mezza morte.

A me capita spesso di leggere le liriche di un poeta e di essere profondamente toccata da talune in particolare, sono quelle nelle quali ritrovo sensazioni o desideri che ho sperimentato nel corso della vita e sovente poi le risposte a domande che mi pongo nell’analizzare alcuni comportamenti del mio animo, come l’amore per le cose piccole cose…la riluttanza a separarmene, la propensione a privilegiarne l’uso a scapito delle altre.
E’ vero che “le cose” parlano e raccontano storie che ci appartengono, purtroppo a volte risvegliano tristezze e rimpianti, ma non per questo ci sono meno care. e.b.

martedì 3 agosto 2010

L' Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi


Un film ritrovato per caso, che non avevo visto e che ho "goduto" scena dopo scena senza accorgermi dello scorrere del tempo. Un film che resterà a lungo nella mia memoria e che consiglio vivamente a chi ama il buon cinema.
Per i miei visitatori una scheda tratta dal web.

Regia: Ermanno Olmi
Lettura del film di Olinto Brugnoli

Edav N° 62-63 - 1978
Titolo del film: L·ALBERO DEGLI ZOCCOLI
Cast: regia, sogg. e scenegg.: Ermanno Olmi - fotogr.: Ermanno Olmi - mus.: Fernando Germani - scenogr.: Enrico Tovaglieri - mont.: Ermanno Olmi -
produz.: Gruppo Produzione Cinema (Milano), RAI, Italnoleggio Cinematografico - origine: ITALIA, 1978 - distribuz: Italnoleggio Cinematografico, Fonit Cetra Video, Video Club Luce, Gruppo Editoriale Bramante (Cinecittà).
Sceneggiatura : Ermanno Olmi
Nazione: ITALIA
Anno: 1978
Presentato: 31mo Festival di Cannes 1978 - In Concorso
Premi: PALMA D·ORO E PREMIO DELLA GIURIA ECUMENICA AL FESTIVAL DI CANNES 1978; DAVID DI DONATELLO (1979) PER MIGLIOR FILM (EX-AEQUO CON "CRISTO SI E· FERMATO A EBOLI" DI FRANCESCO ROSI E "DIMENTICARE VENEZIA" DI FRANCO BRUSATI); NASTRO D·ARGENTO PER MIGLIOR REGIA, MIGLIOR SOGGETTO ORIGINALE, MIGLIOR SCENEGGIATURA, MIGLIOR FOTOGRAFIA E MIGLIORI COSTUMI (Francesca Zucchelli).
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Prodotto dalla Rete 1 della nostra TV e distribuito dall’Ital Noleggio Cinematografico, L’ALBERO DEGLI ZOCCOLI, ultimo film del regista bergamasco Ermanno Olmi, ha ottenuto la Palma d’Oro al Festival di Cannes 1978, rinnovando – e superando – il clamoroso successo ottenuto l’anno scorso da un altro film prodotto dalla nostra TV: PADRE PADRONE dei fratelli Taviani. Il film è interpretato da contadini e gente della campagna bergamasca e viene distribuito in due versioni: una, originale, parlata in dialetto bergamasco e corredata di didascalie in italiano; l’altra – destinata a circolare nelle normali sale di proiezione – doppiata in italiano ma degli stessi protagonisti, che conservano l’accento natio e parecchie espressioni dialettali. È quest’ultima la versione di cui si parla nel presente articolo.

La vicenda è quella di un gruppo di persone, costituenti quattro nuclei familiari, che vivono in una cascina lombarda sul finire del secolo scorso. Man mano che i vari episodi si dipanano sullo schermo, impariamo a riconoscere e a familiarizzare con i vari personaggi e relative famiglie. Innanzitutto con Batisti, onesto e laborioso padre, prima i due, poi i tre s’cett (bambini), che vive in perfetta armonia con la docile moglie. Il figlio maggiore dei due, lo sveglio Minek, su proposta del parroco, viene mandato a scuola (cosa assai rara per un figlio di contadini) e deve ogni giorno percorrere a piedi sei e sei dodici chilometri per andare dalla cascina al borgo e ritorno. Un giorno, tornando da scuola, gli si rompe uno zoccolo. E ciò proprio in concomitanza con la nascita del suo secondo fratellino. Batisti, per evitare preoccupazioni alla moglie, le tace l’episodio e pensa bene di provvedere ad un paio di zoccoli nuovi per il figlio con il legno ricavato dall’abbattimento di un albero (del padrone). Ma il fatto avrà conseguenze drammatiche: il padrone, accortosi dell’albero mancante, farà cacciare Batisti dal podere dal fidatissimo quanto spietato fattore. Lo vediamo partire con i suoi, nell’amara scena conclusiva del film, accompagnato non dai saluti, ma dalla preghiera e dalla muta partecipazione dei vicini, che guardano esterefatti il lume del carro di Batisti allontanarsi nella notte.
[....]
Il racconto cinematografico possiede una struttura che si potrebbe definire ad incastro. Infatti i vari nuclei narrativi, che hanno come protagonisti i diversi personaggi, si alternano, si compenetrano fra loro, quasi come tessere di un grandioso mosaico, fino al compimento del quadro d’insieme.

Già da questo rilievo è possibile cogliere una prima significazione del racconto: è chiaro che al regista interessa ricostruire e rievocare la vita di un gruppo di famiglie contadine della Bassa Bergamasca sul finire del secolo scorso. Ma a che fine? Forse con intenti storici, o sociologici, o politici? Direi senz’altro di no, anche se questi aspetti non sono del tutto assenti (né potevano esserlo, trattandosi di una ricostruzione). Il rilievo storico più esplicito è quello relativo ai moti milanesi del 1898, soffocati dalla dura repressione del generale Bava Beccaris. Dal punto di vista politico e sociologico, oltre alla didascalia iniziale, che descrive brevemente le condizioni di vita dei contadini («la terra, le case, parte degli animali e degli attrezzi appartenevano al padrone, al quale andavano i due terzi del raccolto»), si può rilevare il comizio tenuto al termine della sagra annuale (nel quale si fa riferimento alle varie ingiustizie sociali) e i vari episodi relativi al padrone e al fattore, tra i quali spicca l’ultimo, quello della cascina. Altri accenni sono marginali e di poco conto.

Da una più attenta analisi del racconto, invece, ci si accorge chiaramente che l’interesse del regista marcia in un’altra direzione. L’attenzione è volta a scoprire e a comprendere l’atteggiamento interiore, le motivazioni profonde, lo spirito di questa gente, i valori che sottostanno al suo comportamento e alla sua vita. Esistono nel film degli spazi tematici, all’interno dei quali è possibile ricondurre quasi tutto il materiale narrativo, che acquista in tal modo pregnanza e trasparenza.

Innanzitutto la profonda religiosità. Fin dall’inizio siamo immersi in un’aura religiosa e sacrale. Le prime immagini che descrivono visivamente l’ambiente naturale sono contrappuntate da una canzone sacra (che si capisce provenire dalla chiesa) di lode e di ringraziamento al Signore.

La religiosità viene espressa dal regista in due forme differenti, ma convergenti: a livello di cosa rappresentata, attraverso l’atteggiamento e la sensibilità religiosa dei vari personaggi; a livello di rappresentazione, col commento musicale affidato alla musica religiosa di J.S. Bach.

La religiosità dei personaggi si manifesta e si concretizza in varie forme e atteggiamenti.Si va dal semplice segno di croce che precede le varie azioni (il mangiare, il coricarsi, ecc.) alla recita comunitaria del rosario farfugliato in latino; dall’atteggiamento superstizioso e ingenuo della «donna del segno» che prescrive un intruglio talismanico a Finard, alla profonda fede di Runk che (seppur con riti quasi magici) riesce a «strappare» al Signore la grazia per la mucca ammalata («Fatemela ‘sta grazia; Signore, non potete rifiutarmela!»); dalla partecipazione comunitaria alla messa nel giorno della sagra, a quel guardare commossi verso il cielo stellato finché suonano le zampogne sotto Natale. Come si vede, talvolta la religiosità è arcaica e primitiva, commista di elementi miracolistici e magici, ma, al di là delle forme concrete in cui talvolta si realizza, rivela alle radici una fede semplice e possente, capace di spostare le montagne.
La religiosità che sgorga dal commento musicale investe e permea tutto il film, conferendogli una dimensione quasi sacrale. Una sacralità che è della natura e di chi, lavorando la terra, le è così vicino. Una natura generosa e amica, fonte di letizia e di serenità. Il lavoro e la vita dei campi sono, si, duri e faticosi, ma nello stesso tempo occasione di gioia e di festa. [....]Ma la religiosità di questa povera gente non si esaurisce nelle preghiere o nella rassegnazione alla volontà divina, bensì diventa fonte di altri valori.
[....] L’amore verso gli uomini, corollario dell’amore di Dio, si traduce in operosa solidarietà. Questa si manifesta sia nell’ambito familiare (si pensi a Batisti che aiuta la moglie e si prende cura dei figli) sia nel lavoro comune (le grandi scene corali dell’uccisione del maiale, della semina, della spannocchiatura, della pesatura del grano), ma anche nei confronti degli altri, soprattutto dei più bisognosi e diseredati. Si pensi al patetico personaggio dello scemo del villaggio che va per le case a pregare e a chiedere un pezzo di pane. Viene accolto con rispetto (la vedova Runk rimprovera le bambine cui scappa da ridere: «Non va bene ridere; quelli che non hanno niente dalla vita sono i più vicini al Signore»), si prega con lui, gli si offre quello che c’è, anche nei momenti di maggiore tristezza o miseria (nonno Anselmo gli offre un po’ di polenta proprio quando la mucca era data per spacciata).
[.....]Un’ultima annotazione: Olmi non ha voluto idealizzare o mitizzare la cosiddetta civiltà contadina. Prova ne è che, accanto a personaggi positivi e virtuosi, ne ha posti altri quanto meno criticabili, come Finard, ladruncolo e iracondo, e la sua famiglia, non molto migliore di lui. Ma se, per rispetto della realtà, Olmi ha giustamente tenuto conto anche delle miserie e degli aspetti meno nobili del mondo contadino, è chiaro che la sua attenzione e il suo interesse sono rivolti agli aspetti positivi, a quei valori che oggi risultano purtroppo offuscati e dimenticati.

Si può affermare pertanto che l’idea centrale consiste in una rievocazione della vita del mondo contadino, alla ricerca di valori perduti o offuscati; valori che, al di là delle forme storiche, contingenti in cui si sono concretizzati, sono tuttora validi e devono pertanto essere riscoperti dall’uomo contemporaneo. Quella di Olmi, quindi, non è nostalgia per il passato, per il buon tempo antico, che sarebbe antistorica e sterile, ma recupero di certi valori del passato in vista del progetto di un futuro migliore e più umano.

Cinematograficamente il film è splendido. Nonostante le tre ore di proiezione, praticamente non esistono cadute di tono o momenti morti. Il ritmo è maestoso e nel contempo dimesso. La recitazione è sobria, contenuta, perfettamente aderente al mondo e all’ambiente che si vogliono ricreare. Il regista riesce ad ottenere dai suoi contadini la massima naturalezza: sullo schermo non si scorgono attori che recitano, ma personaggi che vivono e operano. Olmi sa fissare, con mano magistrale e con sensibilità squisita, le espressioni dei volti e le vibrazioni degli animi. L’uso del sonoro è quanto mai efficace e funzionale. Si è già detto della stuggente musica di Bach, chiamata a conferire sacralità a gesti e atteggiamenti; ma anche i suoni, i rumori, le parole si fondono in un afflato corale e unitario (1). Anche la fotografia, sempre volta a sfumare le tinte degli interni e dei paesaggi e a variare le luci a seconda delle stagioni, è perfettamente intonata al tono elegiaco dell’opera.
[....]

Tematicamente e moralmente non solo non esistono riserve, ma va sottolineato il grande valore del film per l’efficacia dell’espressione tematica, la validità dei temi proposti ed il rispetto profondo per l’uomo e la sua dignità. (Olinto Brugnoli)

sabato 24 luglio 2010

L'Amore nella Poesia di Nazim Hikmet



Vorrei partire da queste poche parole, scritte da Hikmet nel 1961 a Joyce Lussu, sua traduttrice italiana (ottima traduttrice direi)

"Cara Joyce,
mi domandi perché scrivo delle poesie?
Sarebbe più giusto porre la domanda in un altro modo. Perché e come ho cominciato a scrivere delle poesie. Cerco di ricordare. Avevo tredici anni. Abitavamo a Istambul. Mio nonno era poeta, ma ancora oggi non capisco le sue poesie."

Come e perché…è forse questo principio di un lungo cammino l'unica cosa che uno scrittore puo' cercare di spiegare: perché col tempo l'arte diviene il modo più naturale di comunicare, per permettere all'altro di entrare in comunione con il sé.
Non ci sono spiegazione plausibili per cercare di dire cosa cambi tra poesia e musica, cosa voglia dire dipingere un quadro: l'anima emerge poco a poco seguendo dolcemente l'inclinazione che le è propria.
Tant'è che persino nella piena maturità Nazin non riesce a spiegare perché scriva poesie se non partendo dalla prima volta, e passando dai ricordi giungerà a dire che ora non può più farne a meno: la poesia diviene in lui parte del suo modo di essere al mondo, di viverlo, di conoscerlo.
Riprendendo in mano la lettera a Joyce Lussu leggiamo che Hikmet inizia a scrivere sotto l'influsso del nonno e della madre che "era innamorata di Baudelaire e Lamartine": sicuramente un influsso importante, che renderà conto sia dell'estrema dolcezza orientale che della rudezza occidentale nel comporre il verso.
Ma la primitiva scelta (ma c'è mai stata in realtà una scelta?) si trasforma ben presto nel modo quasi obbligato di esprimersi: "Poi mi sono innamorato di varie ragazze e ho scritto per loro dei versi; poi le questioni che riguardano la coscienza, l'onore, l'eternità, mi hanno interessato e ho scritto di queste cose."
E allora, com'è la poesia di Hikmet? Direi che è un colloquio coll'uomo, una partecipazione di tutto ciò che succede al mondo e a tutto ciò che succede: una partecipazione "di stomaco", un legame emozionale profondo, lontano da un certo passato lirismo erotico.
L'amore è inteso come l'insieme di tutto ciò che muove il sentimento, anche come battaglia, come sofferenza.

Sono tra gli uomini amo gli uomini
amo l'azione
amo il pensiero
amo la mia lotta
sei un essere umano nella mia lotta
ti amo.

L'amore non è solo amore per la donna, ma per le idee, per la libertà (ed Hikmet è stato rinchiuso per 12 anni in carcere a causa della sua opposizione al regime) per l'onore e l'eternità.
"A diciotto anni passai in Anatolia, scoprii il mio popolo e le sue lotte. Lottava con i suoi cavalli magri, con le sue armi preistoriche, in mezzo alla fame e alle sue cimici, contro l'esercito greco […] ebbi paura, lo odiai, lo amai, lo adorai, compresi che bisognava scrivere tutto ciò in un altro modo.
Ma non ne fui capace. Per trovare il modo giusto era necessario, a quanto pare, che passassi nell'Unione Sovietica.
Era la fine del 1921. Fui mille volte più stupito, e sentii un'amore e una disperazione cento volte più forti, perché avevo scoperto, in quel 1921-1922, una carestia cento volte più terribile, e delle cimici cento volte più feroci, e una lotta contro tutto un mondo cento volte più potente, e una immensa speranza,un'immensa gioia di vivere, di creare.
E cominciai a scrivere in un altro modo.
E da allora non posso non scrivere delle poesie."
Amore insomma come sinonimo di vita. Tanto che leggendo l'autobiografia Hikmet stesso si muove nella sua esistenza attraverso date e avvenimenti, rievocandoli con piacere e orgoglio, ricordandoli con fierezza. Io c'ero sembra volerci dire…e noi con lui, trasportati dall'incomprensibile magia delle sue parole.
Commento di Gianni Migliarese da:
http://digilander.libero.it/ccalbatross/poesia/hikmet/h.htm

Poesie

1942

Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.

1943

Amo in te
l'avventura della nave che va verso il polo
amo in te
l'audacia dei giocatori delle grandi scoperte
amo in te le cose lontane
amo in te l'impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere nella tua carne.
amo in te l'impossibile
ma non la disperazione.

1948

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all'ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d'Antalya,
sono così, le spighe, di primo mattino;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s'illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
così sono d'autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà un giorno, mia rosa, verrà un giorno
che gli uomini si guarderanno l'un l'altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.

1949

Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.

Alla Vita

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla dal di fuori o nell'al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.
La vita non é uno scherzo.
Prendila sul serio ma sul serio a tal punto che messo contro un muro, ad esempio,
le mani legate, o dentro un laboratorio col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo che nulla é più bello, più vero della vita.
Prendila sul serio ma sul serio a tal punto che a settant'anni, ad esempio,
pianterai degli ulivi non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.


1948

In questa notte d’autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini

Berlino 1961

Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
è la mia nostalgia
cresciuta sul ramo inaccessibile
è la mia sete
tirata su dal pozzo dei miei sogni
è il disegno
tracciato su un raggio di sole
ciò che ho scritto di noi è tutta verità
è la tua grazia
cesta colma di frutti rovesciata sull'erba
è la tua assenza
quando divento l'ultima luce all'ultimo angolo della via
è la mia gelosia
quando corro di notte fra i treni con gli occhi bendati
è la mia felicità
fiume soleggiato che irrompe sulle dighe
ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
ciò che ho scritto di noi è tutta verità

ANGINA PECTORIS

Se qui c'è la metà del mio cuore, dottore,
l'altra metà sta in Cina
nella lunga marcia verso il Fiume Giallo.
E poi ogni mattina, dottore,
ogni mattina all'alba
il mio cuore lo fucilano in Grecia.
E poi, quando i prigionieri cadono nel sonno
quando gli ultimi passi si allontanano
dall'infermeria
il mio cuore se ne va, dottore,
se ne va in una vecchia casa di legno, a Istanbul.
E poi sono dieci anni, dottore,
che non ho niente in mano da offrire al mio popolo
niente altro che una mela
una mela rossa, il mio cuore.
E' per tutto questo, dottore,
e non per l'arteriosclérosi, per la nicotina, per la prigione,
che ho quest'angina pectoris.
Guardo la notte attraverso le sbarre
e malgrado tutti questi muri
che mi pesano sul petto
il mio cuore batte con la stella più lontana.
.

ARRIVEDERCI FRATELLO MARE
Varna, 1951

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po' della tua ghiaia
un po' del tuo sale azzurro
un po' della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po' più di speranza
eccoci con un po' più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare

mercoledì 7 luglio 2010

Appello di Amnesty International


Libia: più di 200 persone di nazionalità eritrea rischiano il rimpatrio forzato. L’appello di Amnesty International"

Se ne parla da oltre una settimana, pochissimi giornali ne hanno dato notizia,in televisione si è visto poco o nulla...perchè?
Una risposta me la sono data, si tratta di un argomento veramente "scomodo", qualcosa che richiama alla mente i "respingimenti" e gli "accordi presi dal nostro paese con un paese che non rispetta i diritti umani".
Mi risulta che da più parti il Governo sia stato sollecitato ad intervenire con risultati nulli..."Mica si tratta dei profughi che abbiamo respinto noi", questa la risposta che dovrebbe tacitare le coscienze!
A volte, sempre più spesso, mi vergogno di essere italiana.

Secondo informazioni ricevute da Amnesty International, più di 200 cittadini eritrei sono stati picchiati e trasferiti con la forza dal centro di detenzione di Misratah a quello di Sabha, dove le condizioni sono di gran lunga peggiori. Rischiano il rimpatrio forzato in Eritrea, dove potrebbero subire torture.

Sia il centro di detenzione di Misratah che quello di Sabha sono destinati ai "migranti irregolari", sebbene le autorità libiche facciano poco o nulla per distinguere tra richiedenti asilo, rifugiati e migranti.

Circa due settimane fa, gli agenti di sicurezza libici hanno fatto circolare un modulo in lingua tigrina nel centro di detenzione di Misratah, chiedendo ai detenuti eritrei di compilarlo. Circa la metà di loro si è rifiutata di farlo, temendo che le informazioni personali riportate sarebbero state trasmesse alle autorità eritree. Il 29 giugno, circa 15 detenuti hanno tentato la fuga; 13 di essi sarebbero stati catturati nei due giorni successivi.

Secondo le informazioni inviate ad Amnesty International, la notte del 29 giugno, circa 100 soldati e agenti di polizia hanno circondato il centro di detenzione di Misratah. Erano armati con fucili e gas lacrimogeni. All’alba del 30 giugno hanno fatto irruzione nelle celle e hanno picchiato i detenuti con bastoni e fruste. Almeno 14 persone sarebbero state gravemente ferite e portate in ospedale. Lo stesso giorno, più di 200 detenuti eritrei sono stati caricati a forza su due container e trasportati a Sabha, sorvegliati da un convoglio di militari e poliziotti. Almeno quattro uomini sono stati separati dalle loro famiglie; 13 donne e sette bambini eritrei sono ancora nel centro di detenzione di Misratah, nessuno di loro è stato trasferito o picchiato.

Gli oltre 200 eritrei si trovano ora nel centro di detenzione di Sabha, in pessime condizioni a causa della carenza di cibo e acqua, dell’inadeguatezza dei servizi igienico-sanitari e del sovraffollamento delle celle. A diversi detenuti che hanno riportato gravi ferite sono state negate le cure mediche. I detenuti temono il rimpatrio forzato nel loro paese di origine, dove sono a rischio di tortura e altri maltrattamenti, la punizione riservata a chi ha "tradito" il paese o ha disertato la leva militare. I loro timori si aggiungono alle minacce delle forze di sicurezza libiche che, mentre li picchiavano, urlavano che li avrebbero uccisi o rimpatriati."

[ martedì 6 luglio 2010 ]Vai a
http://www.meltingpot.org/articolo15678.html

sabato 3 luglio 2010

L'amicizia é presenza- parla Jolanda Catalano


Sante ha un blog che non può più gestire autonomamente, ma che continua a seguire con grande piacere. I suoi amici gli sono vicini con le modalità ordinarie, ma disertano il blog perchè forse lo ritengono inutile...le amiche lontane però sono sempre presenti e gli fanno giungere il loro affetto.

Vi riporto l'ultimo commento di Jolanda Catalano:

giugno 21, 2010 alle 8:00 am

Mio carissimo Sante,
grazie davvero per questo meraviglioso post estivo dove musica e immagini si intrecciano in un’armonica coreografia di colori e, permettimi, di sogni o ricordi di estati ormai andate.
L’estate, da sempre, è sinonimo di libertà, e quanta oggi ne serve, quanta fatica stiamo facendo affinchè tale valore non venga calpestato dai politici più di quanto hanno già fatto.
Ma la nostra voglia di estate non ce la toglierà nessuno finchè per noi parleranno le note, i colori, i versi, l’amicizia, sì, caro Sante, anche l’amicizia dispone di un vocabolario raro e prezioso.
Una volta, molto tempo fa, l’estate era la scuola che finiva e la possibilità di oziare oppure godere di lunghe passegiate nei campi o presso esigui torrentelli dove ci si poteva togliere le scarpe e, a piedi nudi, godere della frescura rigeneratrice dell’acqua dentro la quale ci si divertiva a sguazzare e spruzzarci di gioia.
Quanti ricordi……….ma si cresce…….inevitabilmente!

Che questa nuova estate possa scaldare il cuore a chi ne ha bisogno e soprattutto fare luce, molta luce nell’animo di chi vorrebbe spegnerla.

ti abbraccio mio carissimo amico, ti lascio, ormai lo sai, la mia carezza di sole.
jolanda

martedì 29 giugno 2010

La "Voce" di Jolanda Catalano


Radici

La voglio cantare
la storia del Sud,
del sole che frusta
le croste annerite
di vecchie ferite
intrise di pianto.
E mio nonno danzava
all’ombra di un mandorlo
e la vigna spandeva
sapore di mosto
nel tacito autunno
che sbiadiva l’estate.
E ancora la sento,
oscillare nel tempo,
la forza ostinata
di chi nulla ormai teme,
di chi tutto ha già visto
e le zolle indurite
rimpiangono braccia
di uomini veri,
testardi macigni
di generazioni.
Ma nel vento si perdono
granelli di polvere
e miserabili, oggi,
le labbra si bagnano
di vino e di sangue
in unica coppa.
E questo sole che secca
le fragili attese,
mi chiedo se un giorno
potrà mai ferire
gli strabici occhi
di chi forte si crede
a calpestare radici
della sua provenienza.


Ancora qui

Ancora qui
si passa il pane porta a porta
e profumano il gelso e il limone
e la superba ginestra al Corpus Domini
tesse di luce tenera un tappeto.
Il freddo metallo dei computers
non ha del tutto corroso i nostri cuori
peccato però che qui si muore
girando appena un angolo di strada.


Lasciala la mia finestra sulla strada

Lasciala la mia finestra sulla strada
ch’io veda ancora scorrere la notte
tra fiamme azzurre e bianche di languore
e mormorii di voci sulla pelle.
Lascia ch’io scorga là dove si posa
il raggio vellutato di silenzi,
memorie d’ombre attinte dal passato
veloci come guizzi di pensieri.
Ancora ha sete la notte di preghiere
mute e profonde nel vento di parole
dalla finestra al cielo formulate
cresciute in seno al ventre del dolore.
Lascia la poca luce che m’investe
Dei raggi trasparenti della luna,
lascia ch’io oda i passi delle stelle
seta frusciante prima del chiarore.
Lascia,
lascia che tutto si trasformi
nell’armonia silente della notte
e che la goccia mi diventi fiato
e che il silenzio mi traduca note.

Da Alternanze – Calabria Letteraria Editrice 1996

Nelle liriche di Jolanda c'è la forza prorompente della Vita...Jolanda canta la vita con voce possente, anche i sussurri colpiscono con la forza di indomite urla.
Grazie, Jolanda per esserci!

venerdì 25 giugno 2010

Georgia O'Keeffe e i suoi fiori



- «Tutti noi abbiamo a che fare con i fiori. Allunghiamo le mani per toccarli, ci chiniamo per odorarli o li doniamo a qualcuno per fargli piacere. Ma di rado ci concediamo il tempo di osservarli davvero. Ho dipinto ciascun fiore come appare a me, e l' ho dipinto grande in modo che anche gli altri vedessero ciò che vedo io». Sono parole di Georgia O' Keeffe, la leggendaria pittrice americana, nata nel 1887 e scomparsa nel 1986.
I fiori di Georgia sono grandi e bellissimi, sono stati definiti"allusivamente erotici", a me piacciono, perchè amo i fiori, amo la pittura che ritengo una delle espressioni più autentica dell'animo, infine perchè ogni immagine mi trasmette comunque qualcosa.

Una breve descrizione dell'attività artistica di Georgia O'Keeffe:

"Georgia O'Keeffe è una delle figure di maggior spicco dell'arte americana del '900. A lei va il merito di aver contribuito ad emancipare la pittura americana dall'influenza e sudditanza nei confronti dell'arte europea, tramite un linguaggio originale, forte di stimoli per una nuova generazione di artisti. In secondo luogo ha avuto il merito di essere riuscita ad imporsi in un mondo fino ad allora appannaggio degli uomini, in virtù di una grande personalità, lontana dagli stereotipi in cui veniva compressa la creatività femminile, ma distante anche da ogni rivendicazione femminista.

[.....]I soggetti raffigurati nelle sue tele non sono "nature morte", i fiori perdono la loro riconoscibilità, diventano "paesaggi antropomorfi", pieni di anfratti, valli, cascate: immagini di grande sensualità e suggestione".

Le note sono tratte da http://www.artdreamguide.com/

lunedì 21 giugno 2010

Giornata mondiale contro la sla 21 giugno 2010



Sclerosi laterale amiotrofica: tutti a Roma per la Giornata Mondiale
Pubblicato da Lucrezio.Bove in Malattie, News Mediche.
Giovedì, 17 Giugno 2010.

"Il 21 giugno si celebrerà a Roma la Giornata Mondiale di Sensibilizzazione sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). L’iniziativa è promossa e organizzata dall’International Alliance: l’organismo internazionale che coinvolge le principali associazioni dedicate alla malattia sparse in tutto il mondo. Tra queste c’è anche l’italiana AISLA (l’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), che partecipa all’evento sin dalla prima edizione del 1997. Per l’occasione sono previste diverse attività, per informare sul problema, ma anche per permettere a malati e parenti di far sentire la propria voce."

Della sla si parla poco e male, non si dice che questa terrificante malattia è in costante aumento, si tace sugli effetti devastanti che ha sul corpo (paralisi progressiva della muscolatura volontaria, respirazione tramite ventiloterapia e nutrizione per mezzo della peg - vale a dire un tubo che entra direttamene nello stomaco-) soprattutto non si evidenzia che il paziente resta perfettamente "lucido e consapevole" -senza la possibilità di esprimesi, fino alla fine...
Non si dice che lo Stato fornisce un sostegno minimo e insufficiente in termini di assistenza al paziente e alle famiglie che vengono letteralmente "sconvolte" da un evento che assume nella loro vita le connotazioni di un vero e proprio tzumani.
Solo chi è direttamente coinvolto può comprendere il dolore e la solitudine che si può sperimentare quando in famiglia c'è un malato di sla...
Solo chi deve "leggere" lo sguardo di un caro ammalato può comprendere il significato di parole come "rabbia e impotenza" e il coraggio che si deve avere per non porsi domande che non trovano risposte, in un continuo sforzo di mostrare una serenità che non si vive.
I nostri ammalati di sla hanno diritto a tutta l'assistenza domiciliare che uno Stato civile e democratico dovrebbe fornire.
Hanno diritto all'amore di parenti e amici per trovare un senso alla loro esistenza.
Non mi aspetto molto da queste giornate dedicate, solo una presa di coscienza da parte delle Istituzioni che dovrebbe essere sempre e comunque dalla parte dei più deboli e indifesi, senza proclami e ricerca di visibilità, con atti concreti!

lunedì 14 giugno 2010

Marguerite Barankitse : l'Angelo del Burundi


foto tratta dal web


Dal Venerdì di Repubblica – della scorsa settimana- ho appreso la storia, incredibile, di una donna africana che è riuscita a realizzare per i bambini del suo paese un’opera colossale.
Marguerite è stata insegnante presso il vescovado di Ruiygi in Burundi.
La sua vita è cambiata una mattina di ottobre del 1993, quando, a Ruyigi, nel Burundi precipitato nella guerra civile e sconvolto dall'odio tra etnie, settantadue persone sono state massacrate sotto i suoi occhi. E poi, come in un miracolo, ha visto la sua figlioccia, Chloe, rifugiarsi tra le sue braccia, sopravvissuta all'inferno "in quel momento - dice Maggy Barankitse - ho capito che l'odio non poteva vincere". Ha iniziato quel giorno, prendendo con sé i venticinque bambini scampati alla strage. In un mese erano già più di duecento. Piccoli traumatizzati, feriti, violentati, sofferenti di gravi forme di insonnia, ossessionati dalle immagini di vicini diventati improvvisamente carnefici.
Incurante delle minacce alla sua stessa vita, Maggy ha scelto di vivere con loro, con i bambini di ogni gruppo etnico e nazionalità. Testimone delle stragi, a causa del suo impegno, Maggy Barankitse è stata più volte minacciata di morte. Nonostante ciò, ha promosso nel suo paese la pace e la riconciliazione, fondando la Maison Shalom. La sua attività è stata un seme di speranza e un esempio per tanti. Grazie a lei, molte altre case di accoglienza sono nate in tutto il Burundi per assistere gli orfani, tra i quali anche gli orfani dell’AIDS. Oggi sono oltre 10.000 i bambini salvati da Maggy.
Per il suo impegno umanitario ha ricevuto molti riconoscimenti internazionali tra cui: il Premio Nobel dei bambini (Stoccolma, 1993); la Laurea in Legge honoris causa presso l’Università di Lovanio (Belgio, 2004); il premio Nansen per i rifugiati (2005).
-Una sua bibliografia è stata recentemente scritta da una giornalista francese: Christel Martin. Il libro è stato pubblicato con il titolo La haine n’aura pas le dernier mot (cioè L’odio non avrà l’ultima parola). In Italia il libro è stato tradotto e pubblicato con il titolo Madre di diecimila figli.-
Per dieci anni Marguerite ha continuato ad accogliere bambini, inizialmente erano solo 25, poi duecento, poi diecimila… poi non si è più fermata ,ed è diventata mamma Maggy.
Nel frattempo ha ricevuto una pioggia di riconoscimenti internazionali che ha saputo tramutare in aiuti umanitari ed è questo che le consente di continuare ad occuparsi dei suoi figli.
In questi giorni mamma Maggy è in Italia per intervenire al festival Suq di Genova e a una serie di eventi letterali, musicali e teatrali in programma dall’11 al 24 giugno in occasione del Festival delle culture nell’area del Porto Antico.
Durante questo evento l’angelo del Burundi potrà parlare dei suoi diecimila figli oggi adolescenti o già uomini , nutriti, istruiti, con un lavoro che può contribuire alla crescita del loro martoriato paese.

Da notizie recenti sembra che lo stesso Festival delle culture sia in pericolo a causa dei "tagli" operati dalla manovra...speriamo che Maggy possa avere lo spazio che Le spetta! Abbiamo tutti bisogno di testimonianze incoraggianti...come mamma Maggy voglio credere che "l'odio non avrà l'ultima parola"!

domenica 30 maggio 2010

Pina Bausch e la sua danza


Qualche giorno fa in tarda serata ho visto su RAI 2 un breve servizio sulla ballerina coreografa Pina Bausch, scomparsa un anno fa. La storia di questa piccola, esile, grande donna mi ha affascinato. Mi ha fornito l'occasione per documentarmi sulla danza e sulle sue potenzialità espressive che spesso ho poco considerato, privilegiando altre nobili forme di linguaggio.
Dal Messaggero del 23 maggio u.s. riporto parte di un articolo che vuole essere un ricordo e una commemorazione della grande Pina Bausch.

"BERLINO (30 giugno 2009) - La coreografa tedesca Pina Bausch è morta oggi all'età di 68 anni. Lo ha scritto l'agenzia stampa tedesca Dpa, lo ha confermato un portavoce del teatro di Wuppertal di cui era direttrice artistica dal 1973. E' stata una delle più importanti coreografe del mondo, ed è praticamente l'inventrice del teatro-danza. La Bausch, che era attesa al Festival dei Due mondi di Spoleto dove sabato andrà in scena il suo Bamboo blues, è stata stroncata inaspettatamente da un tumore diagnosticato appena cinque giorni fa.

Era una delle più originali protagoniste della danza moderna, la creatrice di un suo stile fortemente teatrale, di un repertorio decisamente connotato, nonché di una delle più celebri compagnie il Tanztheater, con sede a Wuppertal, in Germania, considerato il più importante gruppo di «teatro-danza». Celebri anche alcune sue partecipazioni cinematografiche, fra le quali quella in E la nave va di Federico Fellini, nei panni di una contessa non vedente.

Iniziò la sua carriera da adolescente, esibendosi in piccoli ruoli di attrice nel teatro di Solingen. La sua formazione artistica avvenne nella Folkwang Hochschule di Essen, diretta da un grande come Kurt Jooss, dove nel 1955 si iscrisse, iniziando ad apprendere l'arte della danza in chiave espressionista. In seguito si trasferì, grazie ad una borsa di studio, a New York, dove si perfezionò alla Juillard School of Music, lavorando successivamente, in veste di ballerina, sia con il New American Ballet che con il Metropolitan Opera.

Dopo il rientro in Germania nel 1962, che la vide impegnata ancora come danzatrice, la Bausch iniziò, dal 1968, a comporre le prime coreografie per il corpo di ballo della sua prima scuola, la Folkwang Hochschule, del quale l'anno successivo divenne la direttrice. Nel 1973 fonda il Tanztheater a Wuppertal. Le sue composizioni iniziano a riscuotere un grande successo internazionale. Inizialmente ispirate a capolavori artistici, letterari e teatrali, le sue coreografie subirono una svolta decisiva dopo la realizzazione del suo spettacolo più celebre, Cafè Muller (1978), composto sulle musiche di Henry Purcell."

Da altra fonte:

" Pina Bausch con le sue coreografie ha rivoluzionato profondamente tutto il mondo del teatro e della danza. Le profonde emozioni che le sue creazioni hanno suscitato sin dal 1973, sono state fonte di ispirazione per coreografi e registi di cinema e teatro creando un prima e un dopo Pina Bausch. Federico Fellini, che l’ha voluta come interprete della principessa austriaca in "E la nave va", ha detto di lei: “quello che racconta Pina Bausch sul palcoscenico e in platea è un teatro che ti libera da tutte le soggezioni, è festa, gioco, sogno, simbolo, ricordo, anticipazione, cerimonia. È un conforto che ti strazia di dolcezza e di sgomento, perché vorresti che tanta armonia, tanta leggerezza, tanto incanto non finissero mai, e che la vita fosse così…” (da Il teatro di Pina Bausch di Leonetta Bentivoglio).

domenica 23 maggio 2010

Libertà di stampa



Aderisci all’appello!

" Il disegno di legge 1425 contenente le norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, dopo essere stato approvato alla Camera e integrato alla Commissione giustizia del Senato sta per essere discusso in Senato.
Così com’è, la legge rischia di compromettere un diritto dei cittadini, tutelato dalla nostra Costituzione: quello di informazione e di critica.
Ci riferiamo in particolare alle modifiche alle disposizioni attualmente vigenti in merito alla possibilità di pubblicare una sintesi degli atti giudiziari (che siano intercettazioni o interrogatori o qualunque altro documento) non più coperti da segreto prima della conclusione dell’udienza preliminare.
Inoltre la legge in discussione in Parlamento aggancia il divieto di pubblicazione a un’altra legge esistente (la 231 del 2001) relativa alla responsabilità amministrativa delle imprese per reati commessi dai dipendenti nell’interesse aziendale. Con il risultato di inasprire le sanzioni previste sia per i giornalisti (fino a 20.000 euro) sia per gli editori (fino a 465.000 euro). Editori che vengono spinti ad un controllo preventivo sull’operato di giornalisti e autori, attraverso l’acquisizione preliminare di informazioni rilevanti sulle loro inchieste.
Se la legge fosse approvata, per far solo un esempio, oggi probabilmente l’opinione pubblica italiana nulla saprebbe della vicenda che ha portato alle dimissioni del ministro Scajola…
Riteniamo dunque che il nostro paese corra il rischio di una grave limitazione della libertà di stampa, parte essenziale di uno Stato di diritto liberale e democratico. E questo vale non solo per i giornali ma anche per i libri, che svolgono anche in Italia una funzione essenziale per consentire ai cittadini una scelta democratica libera e consapevole.
Ancor più grave sarebbe poi l’effetto sulla società civile. Come chiarito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la cronaca giudiziaria è essenziale in democrazia per consentire ai cittadini di verificare il corretto funzionamento della macchina della giustizia. Privati delle informazioni necessarie non potrebbero formarsi una opinione equilibrata sulla legittimità delle azioni intraprese dalla magistratura, come invece nei recenti casi sopra citati la cronaca giudiziaria ha consentito loro di fare."

www.laterza.it

martedì 11 maggio 2010

Il mese delle rose e delle mamme




Ci sono feste che si impongono nella nostra memoria in modo indelebile, una di queste è la Festa della mamma.
A maggio la natura “festeggia” la fine del lungo inverno con una profusione di profumi e colori, e il mese di maggio, dedicato dalla cristianità al culto della Madonna, la Madre per antonomasia, è atteso anche perché ogni figlio possa esprimere alla propria mamma amore e gratitudine.

In tempi come quelli che viviamo, in cui ogni giorno è dedicato – dai media- all’attenzione di qualche evento del passato o necessità del presente, al punto che tutto sotto i nostri occhi si confonde e si omologa, la festa della mamma può a buon diritto rivendicare l’indipendenza da mode e finalità propagandistiche e/o commerciali, e sopravvivere in virtù delle sue radici antiche quanto l’umanità stessa.

Un po’ di Storia:

“Negli Stati Uniti nel maggio 1870, Julia Ward Howe, attivista pacifista e abolizionista (della schiavitù), propose di fatto l'istituzione del Mother's Day (Giornata della madre), come momento di riflessione contro la guerra. Fu ufficializzata nel 1914 dal presidente Woodrow Wilson con la delibera del Congresso di festeggiarla la seconda domenica di maggio, come espressione pubblica di amore e gratitudine per le madri e speranza per la pace. La festa si è diffusa in molti Paesi del mondo, ma cambiano le date in cui è festeggiata.
In Italia fu celebrata per la prima volta nel 1957 da don Otello Migliosi ad Assisi, nel piccolo borgo di Tordibetto di cui era parroco. Migliosi la celebrò la seconda domenica di Maggio[2].
In molti Paesi la ricorrenza è stata imitata dalla civiltà occidentale: in Africa, ad esempio, alcuni Stati istituirono la festa della mamma ispirandosi al concetto britannico della stessa.”
( Da Vikipedia.com).

Per la mia mamma, per tutte le mamme, una piccola selezione di poesie:

A Mia Madre

Non sempre il tempo la beltà cancella
o la sfioran le lacrime e gli affanni
mia madre ha sessant’anni e più la guardo
e più mi sembra bella.
Non ha un accento, un guardo, un riso
che non mi tocchi dolcemente il cuore.
Ah se fossi pittore, farei tutta la vita
il suo ritratto.
Vorrei ritrarla quando inchina il viso
perch’io le baci la sua treccia bianca
e quando inferma e stanca,
nasconde il suo dolor sotto un sorriso.
Ah se fosse un mio prego in cielo accolto
non chiederei al gran pittore d’Urbino
il pennello divino per coronar di gloria
il suo bel volto.
Vorrei poter cangiar vita con vita,
darle tutto il vigor degli anni miei
Vorrei veder me vecchio e lei…
dal sacrificio mio ringiovanita!

(De Amicis)

La Madre

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

(Giuseppe Ungaretti)

Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'eterno consiglio,
tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti si', che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si riaccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'eterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se' a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra mortali,
se' di speranza fontana vivace.
Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre
sua disianza vuol volar senz'ali.

(Dante Alighieri)


Maternità

Da dove sono venuto? Dove mi hai trovato?
Domandò il bambino a sua madre.
Ed ella pianse e rise allo stesso tempo e stringendolo al petto gli rispose:
tu eri nascosto nel mio cuore bambino mio,
tu eri il Suo desiderio.
Tu eri nelle bambole della mia infanzia,
in tutte le mie speranze,
in tutti i miei amori, nella mia vita,
nella vita di mia madre,
tu hai vissuto.
Lo Spirito immortale che presiede nella nostra casa
ti ha cullato nel Suo seno in ogni tempo,
e mentre contemplo il tuo viso, l’onda del mistero mi sommerge
perché tu che appartieni a tutti,
tu mi sei stato donato.
E per paura che tu fugga via
ti tengo stretto nel mio cuore.
Quale magia ha dunque affidato il tesoro
del mondo nelle mie esili braccia?

(Tagore)

Madre mia

Eco senza misericordia
la tua voce dell’ultima ora
mi percuote ancora la mente
Dagli abissi della memoria
risale dolente il mio nome
sulla tua bocca esangue
e questo chiaro inverno di Calabria
risveglia dentro
geli assopiti
Come vento di tramontana
fruga impietoso
nelle pieghe dei ricordi.

(Paolina Messina)