domenica 14 novembre 2010

Quando in classe leggevo Macbeth di Pietro Citati


E’ il titolo di un articolo di Citati apparso su Repubblica del 15/10/2008…accuratamente ritagliato e collocato nella cartella “ Ritagli”nella quale conservo ciò che mi riservo di rileggere un giorno, non avendone il tempo al momento.
La cartella è gonfia all’inverosimile ma quando la apro, con l’intento di operare una specie di “bonifica”accade, puntualmente, che mi areno…mi blocco dinanzi a qualcosa che cattura la mia attenzione, ecco che il “ritaglio” mi riempie di gioia e mi benedico per averlo conservato.
La bonifica- cernita- viene differita a “tempi migliori”, la cartella resta in attesa di nuovi inquilini che non mancano, vista la penuria di case in affitto a prezzi ragionevoli, temendo di certo le mie estemporanee ispezioni…

Buona lettura, con l’invito a visitare il post “Asino chi legge” sul sito di Massimo Augeri www.letteratitudine.blog.kataweb.it che all’articolo di Citati ben si collega.


Repubblica 15.10.08
In classe leggevo Macbeth
di Pietro Citati

Molto spesso provo dei sussulti di gioia ricordando gli anni, dal 1954 al 1959, nei quali insegnavo negli avviamenti professionali (medie più modeste, oggi credo scomparse). Venivo da Monaco di Baviera, dove ero lettore d´italiano all´Università, e tenevo seminari, sulle varianti del Giorno di Parini e dei Canti di Leopardi, insieme a giovani austeri, silenziosi e coltissimi, spesso più anziani di me. Alcuni di loro avevano combattuto a Berlino negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale: allora erano giovanissimi, e il cranio adolescente non sopportava la durezza dell´elmo. Dopo due anni di silenzio, ritornando in Italia mi reimmersi nella bolgia della realtà. A Frascati e a Roma, avevo tre classi di quaranta studenti l´una, alle quali avrei dovuto insegnare italiano, storia e geografia. Prima bisognava, come allora si diceva, mantenere la disciplina: lo feci col soccorso di qualche schiaffo, ciò che oggi mi avrebbe procurato, da parte della magistratura italiana, la condanna a venti anni di lavori forzati.
Come dimenticare quegli anni bellissimi? Appena arrivavo nella prima avviamento, trovavo davanti a me, seduti meticolosamente sul primo banco sotto la cattedra, due fratelli gemelli.
Erano piccoli, educati, immobili, silenziosi, in apparenza attentissimi: non avrei potuto desiderare scolari migliori; eppure le mie parole (e qualsiasi parola, anche quella del Padre Eterno) attraversavano le loro orecchie, non vi lasciavano nessuna eco, e poi volavano via, verso le finestre semiaperte e l´azzurro del cielo. Non leggevano mai un libro: non ascoltavano mai le lezioni; non studiavano mai; rimanevano impassibili e indifferenti qualsiasi cosa dicessi. Minacciare la bocciatura non produceva in loro nessun trauma (come oggi si suppone): non sapevano nemmeno cosa fosse un trauma. Avevano scelto di mantenere sempre una passività silenziosa, percorrendo la scuola come due aeroliti caduti da un pianeta sconosciuto.
Il momento più bello - me lo ricordo con struggimento - era attorno alle dieci e un quarto, quindici minuti prima dell´intervallo: in ogni classe, tutti i quaranta ragazzi aprivano con un gesto assolutamente contemporaneo la cartella o il sacco. Ne estraevano un grosso brandello di carta unta, dal quale fuoriusciva un immenso panino: come dicono a Roma, una ciriola. Non avevo mai visto una ciriola così monumentale. Ognuna era aperta a metà; e conteneva una cotoletta, oppure una spessa e odorosa frittata di zucchine. Le mandibole dei ragazzi non riuscivano ad afferrare la ciriola: la smozzicavano in punta, la mordicchiavano ai lati, fino a impadronirsi del cibo desiderato da due ore. Il pasto, laboriosissimo, durava almeno quaranta minuti. Il pane, la carne, la frittata di zucchine scomparivano lentamente nel corpo quasi infantile, mentre un lieve colorito roseo ne irrorava le guance.
In classe, non volava una mosca. Niente turbava la solenne beatitudine del pasto. Era perfettamente inutile tentar di violare quel lungo momento pacifico: sabotare l´azione dei denti, della lingua, dei succhi gastrici, dello stomaco. Se ne avevo voglia, raccontavo una storia divertente. Nessuna risata: la bocca era troppo piena; solo un muto squillare di gioia negli occhi intelligenti.
***
Temo di essere stato un pessimo professore. I temi di italiano erano pieni di errori, disordinati, sgangherati, ma spesso riproducevano fedelmente la vivacità del discorso orale. Annotavo brani espressivi. Ma io ero stato paracadutato in quella scuola per insegnare l´italiano; e se il ragazzo più intelligente scriveva: «Mi´ padre lavora ar Borigrinigo», cosa potevo fare? Avrei dovuto prendere tutti gli scolari, uno per uno, portarli davanti alla lavagna, farli scrivere col gessetto, insegnando loro la giusta grafia. Era impossibile. Se avessi concesso venti minuti d´attenzione esclusiva a un solo ragazzo, la classe sarebbe esplosa in un urlo di gioia, le cerbottane, estratte dalla cartella, avrebbero lanciato frecce o pallini bagnati d´inchiostro, macchiando i visi, le orecchie, gli occhi, le mani, i grembiuli di tutti. Anch´io avrei corso seri pericoli, divorato e inghiottito insieme alle frittate di zucchine.
C´era una sola possibilità di salvezza: rinunciare alla scrittura, e leggere a perdifiato. Ricordo con orgoglio i miei successi di lettore: in prima avviamento, le meravigliose Favole italiane di Calvino e poi, via via, I promessi sposi, semplificati nella sintassi, che ottenne il successo dei grandi romanzi d´avventura. In terza avviamento, osai di più: Delitto e castigo, appena tagliato in qualche capitolo, e il Macbeth, con le diverse voci dei personaggi. Il preside aveva dubbi sui miei metodi: ma io continuavo a leggere e leggere; e la mia voce tornava a casa lievemente arrochita.
Sono persuaso che la condizione del padre, della madre, del nonno o del professore, che leggono un libro al figlio, al nipote e allo studente, sia uno dei momenti supremi della vita. I bambini e i ragazzi adorano (anche oggi) la lettura ad alta voce fatta da un adulto: la lettura giusta, compiuta con passione, colore, estro, dono di intrattenimento. I padri e le madri non amano più questa lettura, che dovrebbe occupare almeno un´ora al giorno, prima di cena. Preferiscono depositare i figli nel famoso tempo pieno (utile ai genitori, ma nocivo per i ragazzi e il loro rapporto con la famiglia): o portarli in macchina, attraverso le convulse strade della città, nelle piscine puzzolenti di cloro, o alla lezione di yoga, o ad allenarsi in palestra.

2 commenti:

accipicchia ha detto...

Un bellissimo e coinvolgente post, Ele cara, mi è piaciuto moltissimo, dalla prima all'ultima riga.
Bello questo tuo conservare per leggere poi con più calma, anch'io ho qualcosa del genere che chiamo pomposamente "Schedario".
Riguardo al testo di P. Citati, l'ho letto con grande piacere, condividendo il suo pensiero. Certo, anche la scrittura va curata ma, nelle condizioni descritte, come poteva? Riguardo alla lettura a voce alta da parte di un adulto, condivido completamente, è un piacere per i ragazzi, soprattutto se avvertono lo stesso piacere e tanta passione in chi legge.
Grazie, carissima, perdona la mia presenza poco assidua.
Ti abbraccio, e insieme a te abbraccio la nostra amica Jolanda. Piera

Shiva ha detto...

Carissima Piera, conosci i miei attuali "tempi" per cui non sarai stupita del mio ritardo nel rispondere. Mi fa piacere che il post sia stato di tuo gradimento.
Io leggo sempre volentieri Citati, lo ammiro per la sua capacità di evocare atmosfere e ambienti di un passato che ritrovo spesso nella mia memoria.
Ti abbraccio forte.ele