giovedì 3 settembre 2009

L'ostaggio di Eleonora Bernardi


L’ostaggio

Ancora un po’ e il treno sarebbe entrato in stazione.
E’ incredibile, pensò, con quanta facilità sono riuscita a staccarmi dal mio mondo, dai problemi, e anche l'ansia che solo stamattina mi stringeva nella sua morsa, che fine ha fatto?
Si sentiva calma, leggermente strana, come chi si trova a recitare una parte e a godere del raro privilegio di potersi osservare con gli occhi di uno spettatore... così mise a fuoco i passeggeri, i compagni con i quali aveva spartito le ore del viaggio, dei quali aveva ascoltato le storie... ecco l'anziana signora che andava a raggiungere sua figlia, il giovane che tornava a casa, in licenza, l'uomo d'affari che aveva rinunciato a consultare i suoi incartamenti per prendere parte alla conversazione.
Tutti personaggi di una breve rappresentazione che stava per aver termine, dal momento che ognuno si apprestava a scendere.
Di lei sapevano che aveva trovato il coraggio di partire, che era ansiosa di ritrovare la sua amica per trascorrere insieme una breve vacanza, quello che non immaginavano era la cospicua dose di tranquillante che aveva ingurgitato, la stessa che le aveva disteso il sorriso e acceso la luce negli occhi.
- Complimenti! Sembra più giovane della sua età!
L'aveva detto qualcuno, e lei subito si era sentita una ragazzina, si era vista giovane, incosciente e piena di vita.
Comunque era andato tutto a meraviglia. Sarebbe arrivata in tempo utile per prendere la corriera, e poi finalmente i monti... e Arlette! Cinque lunghi giorni con Arlette! Da sole, senza mariti... (quello di lei), senza orari e senza legami. Un sogno!
Arlette l'attendeva sulla soglia della sua nuova casa di montagna.
Era proprio tutto come aveva immaginato, un quadro che avevano dipinto insieme per lungo tempo, una pennellata qua e là perchè ogni cosa fosse perfetta.
Sullo sfondo le montagne, al centro loro due strette in un abbraccio senza parole. Intorno il silenzio e una luce piena di gioia.
- Ce l'hai fatta! Ce l'hai fatta!
- Sì! Sì! Ridendo.
Le parole e i racconti potevano aspettare.
- Entra, mettiti comoda! Ti piace la cucina? E il saloncino? Guarda le stanze... questa è la tua!
- Mi piace tutto! Davvero! Ma ora vado in bagno, un attimo, mi do una rinfrescata.
- Io intanto ti preparo un caffè, va bene? (La voce arrivava dal piano di sotto).
-Benissimo, grazie.
Una rapida occhiata allo specchio: sembrava proprio un'altra persona.
Nella pausa-caffè domande e risposte, a raffica.
- Ma “lui” è fuori?
- Sì, torna domenica.
- Lo sa che sono qui?
- No, oggi no, ma sa che saresti venuta, per questo è partito tranquillo...poi lo chiamiamo.
Arlette decide che l'amica è stanca, che dovrebbe riposare, lei pensa che l'effetto del calmante “perduri” visto che comincia a sentire una leggera sonnolenza.
Arlette insiste, e aggiunge che andrà a sbrigare una commissione con una vicina, roba di una mezzora, poi le racconterà.
- Tu intanto ti riposi, o ti guardi intorno... prendi nota degli errori!
- Errori? Non ne vedo...Vai, e torna presto!
Arlette è già andata, la porta si chiude con un piccolo scatto.
Si fa una rapida doccia, non le va di dormire. Si dedica alla ricognizione della libreria. Ecco i libri di Arlette, i “loro libri”: ci sono quasi tutti.
Sul divano un nuovo romanzo. Parla di un rapimento... in Afganistan, terra di banditi!
Si distende a leggere, la storia la cattura sin dalle prime righe.
Si ritrova con una mano premuta sul volto, davanti due occhi neri che la trafiggono e una voce:
- Zitta! Fai quello che dico e non ti succederà niente!
Si agita come una serpe, ma qualcuno la solleva come un fuscello e la porta via, sono in due, uno è in attesa al volante di una macchina e manco si volta, l'altro la stringe a sè come avesse tra le mani un sacchetto... S’infila in macchina, la tiene tra le braccia con aria di possesso.
- Stai calma, ché non ti succede niente!
(Sta dormendo, se ne vuole convincere...)
La macchina si avvia velocemente, senza rumore. Vede scorrere alberi e case, poche, e la testa di chi guida, un berretto e occhiali scuri.
Il suo padrone puzza, ha un odore acido insopportabile, lei si sente ancora tutta bagnata, e poi ha perso gli occhiali, come farà a leggere?
Viaggiano per un tempo interminabile, pensa ad Arlette che non la troverà al suo ritorno e sarà disperata...Si mette a piangere con singhiozzi convulsi.
- Falla smettere! Sennò ci penso io!
E' la voce di chi guida, la colpisce l’italiano perfetto, senza accento.
Niente più case, solo alberi e montagne, poi sono arrivati.
Questa volta la porta in braccio come una bambina, o come una sposa, entrano.
La baita è di legno annerito impregnato di cento odori, su tutti prevale il fumo stantio e l'unto della sporcizia.
Le libera il volto dalla manaccia e l'adagia su una specie di branda.
Lei salta su, come un cobra... è così che si sente, invece il cobra è negli occhi dell'uomo, tondi, neri e minacciosi.
- Ecco, qui puoi strillare quanto vuoi, non ti sente nessuno!
L'amico è fuori che traffica intorno alla macchina.
- Chi siete? Che volete?
-Soldi, solo soldi! Tuo marito pagherà e tornerai a casa! Dipende da lui...
Pensa velocemente: -Mio marito? Quale marito? Solo Arlette ha il marito.
In un lampo si dice:- Questi sono capaci di andare a prendere anche Arlette, oppure visto che...la faranno sparire!
Pensano che lei sia Arlette, bene! Glielo lascerà credere...che chiedano pure il riscatto, intanto Arlette avrà già trovato i suoi occhiali, il libro...avrà capito tutto e messo in moto ogni cosa!
-Ho sonno, risponde - Tanto sonno!
- Meglio così. Ma non cercare di scappare!
Il brutto ceffo si allontana chiudendo a chiave la porta.
Lei piomba nell'oscurità della baita e della coscienza. Evviva i tranquillanti! Dio li benedica!

Si risveglia al rumore delle stoviglie con lo stomaco che si contorce dalla fame, intorno aleggia un delizioso profumo di buon cibo.
Arlette le è accanto con i suoi occhi ridenti e il viso cosparso di puntini dorati..le sue lenticchie!
- Hai dormito un bel po’! Forza, pigrona, vieni a mangiare!
- Io...Tu...
Non riesce a parlare. Il libro è lì, gli occhiali pure.
Afganistan…
Forse, dopotutto, ha dormito davvero.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ele carissima, devo dire che me l'hai fatta!
Io che di solito intravedo da subito la fine di un racconto o di un romanzo, questa volta sono stata fuorviata dalla tua scrittura che nulla faceva presagire che in effetti l'essere ostaggio era solo frutto dei tranquillanti. un incubo, come spesso accade anche nella realtà, un incubo che, per fortuna, ha avuto un epilogo fortunato.

E noi, cara Ele, ci sentiamo in qualche modo "ostaggio" di questa società invivibile?
io credo di si.

ti abbraccio forte
jolanda

Shiva ha detto...

Carissima Jole, i miei complimenti per aver avuto la pazienza di leggere un testo un po' più lungo del solito!La risposta alla tua domanda é affermativa. Spesso mi sento un ostaggio, ogni volta che verifico l'impossibilità, o l'opportunità, di fare o dire quello che vorrei!
La tentazione, forte e pericolosa, é di pensare che la "liberazione" possa venire da altri, dall'esterno, e di cedere ad una sorta di disperazione rassegnata. Poi mi dico che nessuno ha il diritto di sequestrare le nostre idee, e vado avanti...
Ti abbraccio. ele

Anonimo ha detto...

Carissima,
hai scritto un racconto davvero intrigante, mi hai coinvolto fino all'ultima parola. Poi, un sospiro di sollievo da parte mia...
Quanto al sentirsi ostaggi, ahimè, care amiche, sì, è una sgradevole sensazione che anch'io provo spesso, sempre più spesso.
Ma siamo troppo libere dentro per poter cedere, per poterci rassegnare!
Un grande abbraccio comune a te e a Jole.
Piera

Shiva ha detto...

Cara Piera, credo che tu e Jole facciate davvero di tutto e di più per manifestarmi la vostra stima e il vostro affetto. Ve ne sono immensamente grata. Un forte abbraccio. ele