mercoledì 16 dicembre 2009

Zoli di Colum Mc Cann


Nel libro Zoli di Colum Mc Cann (Rizzoli, agosto 2007), si narra la storia di una zingara con una straordinaria vocazione alla poesia, che tuttavia viene messa al bando dalla sua gente perché, secondo una stretta osservanza della tradizione rom, non è consentito alla donna saper leggere e scrivere e, tanto meno, mettere per iscritto componimenti poetici. Al massimo la poesia può essere materia di canto, e Zoli infatti è inizialmente presentata come quella che canta appassionatamente suggestive canzoni tradizionali, molto amate dal suo popolo.
Nel libro di Mc Cann la zingara ancora si sposa secondo il volere del gruppo familiare, si dedica molto alla cura e all’educazione dei figli secondo i valori della cultura dei padri, è duramente punita se adultera, è addirittura cacciata dalla comunità se ne trasgredisce i principi.
Ed è a una donna vera, Papuska, poetessa rom cacciata in esilio dal suo popolo, che si ispira Mc Cann per la sua eroina.
Secondo la caratteristica propensione dell’autore ad una scrittura che “va avanti e indietro nel tempo” seguendo il flusso della memoria, la storia si sviluppa su due piani temporali e narrativi che si intersecano, e nei quali la narrazione si svolge alternativamente in prima e in terza persona. Uno dei due piani ci porta, nel 2003, prima in Slovacchia e poi a Parigi, e racconta in gran parte la ricerca di Zoli da parte del giornalista che un tempo l’ha scoperta; l’altro piano è per lo più il racconto che la stessa Zoli fa a sua figlia della sua vita errabonda dagli anni ’30 agli inizi del duemila, dalla Cecoslovacchia all’Ungheria, all’Austria, all’Italia. Quando l’autore narra in terza persona, la sua prosa si fa realistica e si accosta al parlato quotidiano, mentre se ricorre alla prima persona, la prosa diventa poetica e visionaria, tutta ricordi e poesia.
È in questa dimensione che viene rievocata l’infanzia errabonda della piccola rom che, sola con suo nonno, scampa allo sterminio di tutta la sua famiglia ad opera della milizia nazista dei Hlinka; ed è proprio al nonno – singolare personaggio, lettore di Marx e Lenin ma educatore severo ai valori dei padri – che Zoli deve l’apprendimento segreto della lettura e della scrittura, perché, egli sosteneva, “... tradizione significava continuare le usanze ma, a volte, an¬che iniziarne di nuove” (pag. 33).
La zingara vive un’adolescenza sentimentalmente ricca ma serena nel suo accampamento, cantando con grande trasporto le canzoni care alla sua gente; poi, in obbedienza al volere del suo gruppo familiare, sposa a quattordici anni un vecchio violinista rom che devotamente accudirà fino alla morte; ma intanto, verso gli ultimi anni ’40, è scoperta e lanciata dal regime comunista che – per “ascoltare le radici profonde dei nostri fratelli zingari” e "rendere “onore al proletariato colto” – la esalta come voce di una cultura da valorizzare e inglobare nel sistema.
Segue il racconto di tempi tumultuosi ed oscuri, segnati dall’impossibile storia d’amore tra la giovane rom ed uno dei due giornalisti che l’hanno scoperta, dal rapido estinguersi dell’iniziale slancio liberale del regime verso gli zingari, dalla contemporanea maledizione di Zoli e dalla sua condanna al silenzio ad opera del suo popolo, dai tormentosi giorni dell’esilio e della fuga fino all’approdo in Italia, presso il contrabbandiere che l’ha salvata e diventa suo marito e il padre di sua figlia.
Proprio grazie a sua figlia, Zoli, ormai ultrasettantenne e vedova, ritrova a Parigi, in un convegno internazionale sulla cultura rom, il giornalista che un tempo ne aveva scoperto le doti poetiche, e può assistere al definitivo riconoscimento della sua poesia e liberamente cantarla.
Appaiono subito evidenti nel romanzo di Mc Cann i nuclei tematici che gli stanno a cuore: l’esaltazione dell’arte come fonte di purificazione e redenzione, anche in contrasto con i valori, pur amati, della cultura tradizionale, e poi – soprattutto – la necessità di conoscere a fondo chi è diverso da noi per accettarlo e rispettarlo com’è.
Zoli ricorda dolente quello che i gadze (i non-zingari) rinfacciano ai rom: “Siete ladri, siete bugiardi, siete sudici; perché non potete essere semplicemente uguali a noi?"(pag. 250). Ma poi sembra pacificarsi, nella considerazione di un uguale destino d’amore e di morte che pare accomunare tutti gli uomini.
Recensione di Anna Maria Lepore

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